I media ci tengono informati su gran parte di quel che accade in Grecia, ma non ci raccontano il silenzioso saccheggio di coste, laghi, boschi e sorgenti che si sta compiendo lontano dalle telecamere, scrive dalla Spagna Gustavo Duch nell'articolo che segue. Una questione drammaticamente importante, di cui avevamo già parlato a marzo, e che meriterebbe le prime pagine di tutta la stampa internazionale.
di Gustavo Duch - 7 Agosto 2013
I media ci tengono informati su gran parte di quello che accade in Grecia, è essenziale se teniamo conto che questo paese funziona da laboratorio di politiche di salvataggio finanziario più che preoccupanti.
Sappiamo che, dall’inizio della crisi, ciascun lavoratore e ciascuna lavoratrice greca hanno perso in media il 40 per cento del loro salario,
mentre l’aumento del prezzo dei prodotti di base, come il latte, e
quello delle tasse portano a un bilancio familiare insostenibile e
insopportabile.
Come nel nostro paese (la Spagna), cresce
il tasso di disoccupazione, spariscono i sussidi, si tagliano i servizi
di base, come la sanità, e si definiscono politiche del lavoro che ci
trasformano in paesi "low cost". Ma vi è un’altra realtà meno
conosciuta, o meglio nascosta, di questi esperimenti di salvataggio che
dobbiamo conoscere e analizzare, perché i risultati di simili
esperimenti in Spagna stanno diventando progressivamente sempre più
visibili.
Mi riferisco ad un’altra delle imposizioni della troika per ridurre il debito greco: mettere in vendita tutte le risorse naturali
o sfruttarle senza limiti. In Grecia i meccanismi utilizzati comportano
la modifica di disposizioni di legge che, come dice Roxanne Mitralias,
militante ambientalista, "bene o male chiudevano la strada al
supersfruttamento delle risorse naturali".
Con le nuove normative,
si arriva a mettere in discussione la Costituzione, che impediva lo
sfruttamento privato della costa e delle foreste, spiega Roxanne. Per
esempio alla fine di gennaio 2013, il lago di Casiopea, nell’isola di
Corfù, è stato venduto a NCH Capital e, dalla primavera del 2012, le
spiagge si possono dare in concessione per 50 anni, il che
presumibilmente scatenerà un’ondata di privatizzazioni che sfocerà nella
costruzione di villaggi turistici (assai poco rispettosi della natura)
ed esclusivi per la clientela più danarosa.
D’altronde, lo
sfruttamento delle risorse minerarie sta rendendo la mappa della Grecia
caratterizzata da molti luoghi di conflitto. Si parla di sacche di petrolio in mare,
che, se saranno rinvenute, non porteranno benefici a nessuno tranne che
alle imprese straniere che sfruttano i giacimenti. Nel nord del paese,
nella regione di Skouires, da oltre un anno è in corso una grande
mobilitazione sociale, repressa costantemente dai corpi speciali della
polizia, per difendere i boschi da un progetto (di due imprese, una
greca e un’altra canadese) per l’estrazione di oro da una miniera.
Una lunga lista, fin troppo simile, la troviamo anche in Spagna,
dove vengono ripetute le stesse chimere: petrolio nelle Canarie,
miniere a cielo aperto per estrarre oro in Galizia, uranio in Catalogna,
fracking in molti punti del nord della penisola. Come in Grecia,
bisogna denunciare le due norme che il governo centrale utilizza per
servire il territorio su un piatto d’argento e totalmente sventrato a
chi vuole approfittarne, per permettere il saccheggio dei nostri beni
comuni.
Da un lato abbiamo la legge di protezione e uso
sostenibile della costa, che sostituisce la legge sulle coste del 1988 e
che viola fondamentali principi costituzionali. Ai sensi di questa
legge, beni pubblici potrebbero passare nelle mani di investitori
privati, resterebbero prive di tutela zone di alto valore come terreni
paludosi o paludi marine, e potrebbero essere prosciugate le spiagge
per essere inserite in progetti di urbanizzazione.
Dall’altro
lato, la legge sulla razionalizzazione e la sostenibilità
dell’amministrazione locale, la legge Montoro, che, millantando
attenzione al raggiungimento di una supposta efficienza, punta a
smantellare i sistemi di governo dei piccoli municipi e dei distretti
per poter mettere in vendita le montagne e i suoli pubblici che questi comuni o i consigli dei residenti hanno gestito collettivamente nel corso di centinaia di anni.
Di
nuovo, una legge che dimentica che parliamo di beni di proprietà
pubblica, proprietà che, secondo la Costituzione, sono inalienabili,
imprescrittibili e insequestrabili. Possiamo consentire la vendita della
natura per pagare salvataggi bancari o favorire i guadagni di una
manciata di speculatori?
Se pensiamo al pianeta come ad un
sistema di cui siamo parte, un sistema con boschi e suoli come polmoni e
montagne e fiumi come arterie, un sistema in cui conviviamo con una
fantastica diversità di esseri viventi e che è l’unica garanzia per la
vita dei nostri discendenti, porre l’interesse privato al di sopra di
quello pubblico è un fatto di una miopia e una mediocrità tremende.
Si
profila un’aggressione che forse ai nostri governanti potrà sembrare di
scarsa importanza. Con quello che sta accadendo, a nessuno interesserà
che vendiamo o bruciamo svariati boschi o arenili, staranno certamente
pensando coloro che sono alla testa di questo saccheggio silenzioso. E
invece, anche in questo caso, la loro visione delle cose è vecchia e
superata. La società ha preso coscienza dell’importanza del più umile
degli alberi, come abbiamo visto ad Instanbul, a piazza Taksim, o in mille altri posti.