A più di due anni dal passaggio del primo treno alta velocità sulla tratta Firenze-Bologna il Mugello è una terra devastata. A essere sconvolto è stato l’intero equilibrio idrogeologico del territorio.
La diminuzione dell’acqua ha comportato ricadute pesanti sull’ecosistema montano, influendo negativamente sia sulla flora che sulla fauna e costringendo aziende agro-zootecniche a chiudere i battenti.
Le tre gallerie principali del Tav, Vaglia (18,561 km), Firenzuola (15,060 km) e Raticosa (10,450 km), hanno svuotato come cannucce la montagna: la loro azione drenante ha fatto scomparire sorgenti, pozzi e torrenti.
Come avverte Giuliano Rodolfi, professore di geomorfologia all’università di Firenze e presidente del comitato tecnico-scientifico dell’osservatorio ambientale locale sulla tratta AV Bologna-Firenze, “la portata complessiva dell’acqua entrata nelle gallerie per il drenaggio delle sorgenti e dei corsi d’acqua è di ben 10,400 litri al minuto, mentre risulta che il deflusso complessivo in uscita dalle gallerie, nel mese di agosto 2005 (a scavi ultimati), è di 1.126.267 metri cubi, corrispondenti ad una portata di 25,230 l/m”.
Poco importa, al teatrino della politica, se dei corsi d’acqua sono
stati dichiarati biologicamente morti, a causa della perdita totale del
deflusso estivo, dovuta all’azione drenante delle gallerie. Al Tav i
lustrini dell’inaugurazione non potevano mancare: fu così che il 5
dicembre 2009, per celebrare la fine dei lavori e il passaggio del primo
treno Frecciarossa, il sindaco di Bologna Flavio Delbono, non ancora disarcionato dal Cinzia-gate e il collega fiorentino Matteo Renzi
si abbracciarono sul primo binario della stazione di Bologna. Intesero
simboleggiare l’unione delle loro città divise dall’Appennino e
inaugurarono così la linea ad alta velocità da Salerno a Milano.
La maxi-opera, se si aggiunge anche la tratta Torino-Milano, è costata la cifra faraonica di 32 miliardi di euro. Circa 5,5 miliardi si sono spesi per i soli 78,5 km della Firenze-Bologna, vale a dire 70 milioni di euro al chilometro. Cifra ragguardevole per guadagnare solo 22 minuti, rispetto alla precedente linea.
Tra i torrenti prosciugati del Mugello vi è l’Erci (o Cannaticce), che scorreva nell’omonima località del Comune di Borgo San Lorenzo. In questa stagione, prima dei lavori del Tav, era un rio di montagna rigoglioso, habitat di trote e gamberi di fiume. Oggi è una pietraia desolante. Dai tavolini da picnic, costruiti per i visitatori che non ci sono più, si osserva l’alveo completamente secco. È solo un tratto dei 57 km d’acqua persi a causa dei lavori di scavo.
L’intera comunità mugellana ha sopportato i disagi della costruzione del Tav per 13 lunghi anni, dall’apertura del primo cantiere nel 1996. Tutto ciò senza nessun vantaggio, visto che da queste montagne, per prendere il treno AV, è necessario raggiungere Bologna o Firenze. Nessuna fermata “Mugello” è stata costruita, come si sostenne in un primo tempo e ai Comuni sono rimasti solo i danari delle onerose contropartite, stanziati a titolo di indennizzo.
Le amministrazioni locali sapevano ma non fecero nulla: le aveva messe in guardia, già dal 1999, il professor Rodolfi che diffuse i risultati del progetto da lui coordinato a nome “Trimm” (Tutela delle risorse idriche nella montagna mugellana). Il progetto, spiega il geologo “conteneva uno studio dettagliato del regime delle precipitazioni della zona, redatto dall’allora istituto del Cnr per l’agrometeorologia e il telerilevamento applicati all’Agricoltura (Iata), per dimostrare che la diminuzione o, addirittura, l’azzeramento delle portate idriche in sorgenti, pozzi e tratti di alvei fluviali, manifestatisi a partire dal 1999, non dipendevano da carenza di afflussi meteorici, ma dal drenaggio degli acquiferi profondi operato dalle gallerie in corso di scavo”.
Una grande opera non è mai a impatto zero, ma oggi non resta che constatare amaramente che il bilancio tra i costi e i benefici risulta quanto mai sfavorevole al territorio. L’acqua non è sparita, ma la falda si è abbassata di almeno 200 metri. “Ciò non significa –scrive Rodolfi- che questi volumi di acqua siano andati perduti. È cambiato il loro percorso sotterraneo, che li fa pervenire agli imbocchi delle gallerie, quindi a quote di molto inferiori, talora in bacini idrografici adiacenti”.
Per questo e altri danni lo Stato e Tav, nel luglio del 2002, sottoscrissero un addendum all’accordo procedimentale del 1995. Furono stanziati 53 milioni di euro, ma non tutte le opere di ripristino ambientale progettate sono state realizzate, poiché mancano ancora 13 milioni.
Oggi il Mugello si lecca le sue ferite e in attesa di altri finanziamenti tenta di portare l’acqua con dei rilanci in zone a monte, dove prima pervenivano per caduta. Ciò comporta il dispendio di molta energia elettrica e le stesse acque poi presentano un decadimento delle loro qualità e rendono necessari costosi interventi di potabilizzazione.
Gli abitanti della comunità montana del Mugello che hanno criticato con vigore il Tav non hanno mai inteso portare avanti una crociata contro il progresso. Hanno sostenuto piuttosto che i lavori si sarebbero potuti fare sulla base di una valutazione di impatto ambientale più approfondita, che tenesse nella dovuta considerazione la distribuzione dei tipi di terreni da attraversare. Si sarebbe così evitato, ad esempio, di dover ricostruire alcune gallerie minori che avevano fatto registrare deformazioni importanti, sotto la spinta di terreni argillosi. È di questa opinione Piera Ballabio, consigliere comunale a Borgo San Lorenzo della lista Libero Mugello, che paragona sconsolata i lavori effettuati dal consorzio costruttore Cavet con quelli per lo scavo della galleria del San Gottardo in Svizzera.
Sono passati poco più di 9 mesi dalla sentenza della corte d’appello del tribunale di Firenze che ha cancellato la condanna di primo grado agli imputati, tra cui anche il consorzio Cavet. Ventisette condanne per reati ambientali sono state annullate per prescrizione e non perché il fatto non sussistesse.
Restano comunque responsabilità oggettive. Cavet ha ampiamente sottovalutato –come ribadisce Rodolfi- “la possibilità di interferenza fra scavo e situazione idrogeologica degli ammassi rocciosi”. Il consorzio prima dell’inizio della cantierizzazione (anno 1995) aveva messo a punto un piano di monitoraggio ambientale (Pma), per stabilire le caratteristiche iniziali di sorgenti, pozzi, alvei.
“Il numero dei punti monitorati –prosegue Rodolfi- è andato aumentando fino all’anno 2002, man mano che gli impatti sulla circolazione idrica superficiale e profonda si manifestavano: in altre parole, il Pma si è adeguato a tali eventi, invece che contribuire a prevenirne effetti quali l’azzeramento delle portate in molte sorgenti, alcune delle quali alimentavano acquedotti importanti (Scarperia, Luco di Mugello, Grezzano), l’abbassamento, fino all’esaurimento, del livello statico di molti pozzi ad uso domestico o agro-zootecnico, la sparizione dei deflussi di magra in alcuni tratti di corsi d’acqua perenni, con danni irreversibili alla fauna dulciacquicola e alla vegetazione igrofila, anche in aree “Sic” (siti di interesse comunitario)”.
Per citare qualche dato il deflusso superficiale del torrente Veccione, che scorre vicino alla millenaria abbazia di Moscheta, ha perso 2700 litri al minuto, altri 2 torrenti, affluenti del fiume Santerno, il Diaterna e il Rampolli ne hanno persi 1200, idem il Carzola in Comune di Vaglia. Il torrente Bagnone invece, che portava acqua alle vicine fattorie, ha subito una perdita di portata alla sorgente di 673 litri al minuto.
Ebbene per effetto dell’ultima sentenza è stato anche cancellato il maxi-risarcimento da 150 milioni di euro deciso in prima istanza, il 3 marzo 2009, a favore degli enti di Emilia e Toscana e alle persone che abitano le valli del Mugello. Hanno tolto loro l’acqua, aperto crepe nelle case, li hanno costretti a convivere per anni, dalla mattina alla sera, con polveri che si depositano ovunque, rumori assordanti delle esplosioni e bip dei camion in retromarcia.
Le opere di ripristino che si stanno realizzando oggi consentono di migliorare in parte la situazione, ma per gli abitanti del Mugello i loro fiumi non canteranno mai più come prima.
La maxi-opera, se si aggiunge anche la tratta Torino-Milano, è costata la cifra faraonica di 32 miliardi di euro. Circa 5,5 miliardi si sono spesi per i soli 78,5 km della Firenze-Bologna, vale a dire 70 milioni di euro al chilometro. Cifra ragguardevole per guadagnare solo 22 minuti, rispetto alla precedente linea.
Tra i torrenti prosciugati del Mugello vi è l’Erci (o Cannaticce), che scorreva nell’omonima località del Comune di Borgo San Lorenzo. In questa stagione, prima dei lavori del Tav, era un rio di montagna rigoglioso, habitat di trote e gamberi di fiume. Oggi è una pietraia desolante. Dai tavolini da picnic, costruiti per i visitatori che non ci sono più, si osserva l’alveo completamente secco. È solo un tratto dei 57 km d’acqua persi a causa dei lavori di scavo.
L’intera comunità mugellana ha sopportato i disagi della costruzione del Tav per 13 lunghi anni, dall’apertura del primo cantiere nel 1996. Tutto ciò senza nessun vantaggio, visto che da queste montagne, per prendere il treno AV, è necessario raggiungere Bologna o Firenze. Nessuna fermata “Mugello” è stata costruita, come si sostenne in un primo tempo e ai Comuni sono rimasti solo i danari delle onerose contropartite, stanziati a titolo di indennizzo.
Le amministrazioni locali sapevano ma non fecero nulla: le aveva messe in guardia, già dal 1999, il professor Rodolfi che diffuse i risultati del progetto da lui coordinato a nome “Trimm” (Tutela delle risorse idriche nella montagna mugellana). Il progetto, spiega il geologo “conteneva uno studio dettagliato del regime delle precipitazioni della zona, redatto dall’allora istituto del Cnr per l’agrometeorologia e il telerilevamento applicati all’Agricoltura (Iata), per dimostrare che la diminuzione o, addirittura, l’azzeramento delle portate idriche in sorgenti, pozzi e tratti di alvei fluviali, manifestatisi a partire dal 1999, non dipendevano da carenza di afflussi meteorici, ma dal drenaggio degli acquiferi profondi operato dalle gallerie in corso di scavo”.
Una grande opera non è mai a impatto zero, ma oggi non resta che constatare amaramente che il bilancio tra i costi e i benefici risulta quanto mai sfavorevole al territorio. L’acqua non è sparita, ma la falda si è abbassata di almeno 200 metri. “Ciò non significa –scrive Rodolfi- che questi volumi di acqua siano andati perduti. È cambiato il loro percorso sotterraneo, che li fa pervenire agli imbocchi delle gallerie, quindi a quote di molto inferiori, talora in bacini idrografici adiacenti”.
Per questo e altri danni lo Stato e Tav, nel luglio del 2002, sottoscrissero un addendum all’accordo procedimentale del 1995. Furono stanziati 53 milioni di euro, ma non tutte le opere di ripristino ambientale progettate sono state realizzate, poiché mancano ancora 13 milioni.
Oggi il Mugello si lecca le sue ferite e in attesa di altri finanziamenti tenta di portare l’acqua con dei rilanci in zone a monte, dove prima pervenivano per caduta. Ciò comporta il dispendio di molta energia elettrica e le stesse acque poi presentano un decadimento delle loro qualità e rendono necessari costosi interventi di potabilizzazione.
Gli abitanti della comunità montana del Mugello che hanno criticato con vigore il Tav non hanno mai inteso portare avanti una crociata contro il progresso. Hanno sostenuto piuttosto che i lavori si sarebbero potuti fare sulla base di una valutazione di impatto ambientale più approfondita, che tenesse nella dovuta considerazione la distribuzione dei tipi di terreni da attraversare. Si sarebbe così evitato, ad esempio, di dover ricostruire alcune gallerie minori che avevano fatto registrare deformazioni importanti, sotto la spinta di terreni argillosi. È di questa opinione Piera Ballabio, consigliere comunale a Borgo San Lorenzo della lista Libero Mugello, che paragona sconsolata i lavori effettuati dal consorzio costruttore Cavet con quelli per lo scavo della galleria del San Gottardo in Svizzera.
Sono passati poco più di 9 mesi dalla sentenza della corte d’appello del tribunale di Firenze che ha cancellato la condanna di primo grado agli imputati, tra cui anche il consorzio Cavet. Ventisette condanne per reati ambientali sono state annullate per prescrizione e non perché il fatto non sussistesse.
Restano comunque responsabilità oggettive. Cavet ha ampiamente sottovalutato –come ribadisce Rodolfi- “la possibilità di interferenza fra scavo e situazione idrogeologica degli ammassi rocciosi”. Il consorzio prima dell’inizio della cantierizzazione (anno 1995) aveva messo a punto un piano di monitoraggio ambientale (Pma), per stabilire le caratteristiche iniziali di sorgenti, pozzi, alvei.
“Il numero dei punti monitorati –prosegue Rodolfi- è andato aumentando fino all’anno 2002, man mano che gli impatti sulla circolazione idrica superficiale e profonda si manifestavano: in altre parole, il Pma si è adeguato a tali eventi, invece che contribuire a prevenirne effetti quali l’azzeramento delle portate in molte sorgenti, alcune delle quali alimentavano acquedotti importanti (Scarperia, Luco di Mugello, Grezzano), l’abbassamento, fino all’esaurimento, del livello statico di molti pozzi ad uso domestico o agro-zootecnico, la sparizione dei deflussi di magra in alcuni tratti di corsi d’acqua perenni, con danni irreversibili alla fauna dulciacquicola e alla vegetazione igrofila, anche in aree “Sic” (siti di interesse comunitario)”.
Per citare qualche dato il deflusso superficiale del torrente Veccione, che scorre vicino alla millenaria abbazia di Moscheta, ha perso 2700 litri al minuto, altri 2 torrenti, affluenti del fiume Santerno, il Diaterna e il Rampolli ne hanno persi 1200, idem il Carzola in Comune di Vaglia. Il torrente Bagnone invece, che portava acqua alle vicine fattorie, ha subito una perdita di portata alla sorgente di 673 litri al minuto.
Ebbene per effetto dell’ultima sentenza è stato anche cancellato il maxi-risarcimento da 150 milioni di euro deciso in prima istanza, il 3 marzo 2009, a favore degli enti di Emilia e Toscana e alle persone che abitano le valli del Mugello. Hanno tolto loro l’acqua, aperto crepe nelle case, li hanno costretti a convivere per anni, dalla mattina alla sera, con polveri che si depositano ovunque, rumori assordanti delle esplosioni e bip dei camion in retromarcia.
Le opere di ripristino che si stanno realizzando oggi consentono di migliorare in parte la situazione, ma per gli abitanti del Mugello i loro fiumi non canteranno mai più come prima.
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