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mercoledì 6 marzo 2013

Economia della felicità di Marco Delugan

Con economia della felicità si intendono tutti quegli studi che tentano di comprendere quali siano le cause economiche del benessere delle persone: lavoro, reddito, modello di consumo. Studi che si stanno rivelando, oltre che originali nelle loro conclusioni, anche potenzialmente utili per la definizione della politica economica delle nazioni.

Con politica economica si intendono gli interventi dello Stato volti ad indirizzare l’economia di un paese verso obbiettivi prefissati.

In assenza di dati empirici che permettano di definire le preferenze dei cittadini, l’unico modo per definire queste preferenze risiede nella visione antropologica delle forze politiche al potere. Così è stato per moltissimo tempo, ma adesso sono disponibili metodi di rilevazione e dati sulla felicità delle persone e sulle sue cause. E questo ha dato un forte stimolo agli studi sulla felicità, anche in ottica di politica economica. 

Tra le principali evidenze emerse da questi studi, ci sono l’importanza dell’istruzionecome fattore di felicità e non solo come capacità professionale e di reddito acquisite a scuola, ma come capacità di stare al mondo in maniera soddisfacente e appagante. Di grande importanza anche la salute e i beni relazionali, intesi come tempo impiegato nelle relazioni primarie - amici e famiglia - e qualità delle stesse. 

Importanti per la felicità sono anche il grado di sviluppo della democrazia nel paese in cui si vive e, curiosamente, l’età: con l’avanzare degli anni aumenterebbe la capacità di gestire le emozioni e questo avrebbe un effetto positivo sul benessere psicofisico. 

Effetto negativo sulla felicità avrebbero disoccupazione e inflazione. 

Più complesso l’effetto del reddito. Gli economisti hanno sempre ipotizzato una relazione positiva tra reddito e felicità, dove però a successivi incrementi di reddito dello stesso ammontare corrispondono incrementi di felicità/soddisfazione via via decrescenti. Secondo gli studi più recenti, a questo “meccanismo” se ne aggiungerebbero altri due, uno psicologico e uno sociologico. 

La prima potremmo chiamarla sindrome del voler sempre di più: una volta raggiunto un certo livello di reddito, le persone alzerebbero i loro obbiettivi, svalutando così quanto raggiunto. La seconda è la sindrome del confronto, o dell’invidia: non sarebbe cioè così importante il reddito raggiunto in quanto tale, ma il proprio reddito in rapporto a quello delle persone con cui la persona si relaziona normalmente. Così, pur avendo un reddito alto in termini assoluti, questo non porterebbe la soddisfazione che potrebbe se nel gruppo sociale di riferimento ci fossero molte persone con redditi superiori.

Più chiaro invece l’effetto del reddito nazionale: non presenta le complessità appena viste per quello personale, ed è spesso direttamente collegabile all’accesso a servizi come istruzione e qualità, che abbiamo visto collegati in maniera significativa alla felicità.

Nei video che seguono il Professor Leonardo Becchetti, uno dei maggiori esperti italiani in questo campo di studi, spiega l’economia della felicità. E non solo...

http://www.abcrisparmio.it/glossari/economia-finanza/economia-della-felicita