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venerdì 30 luglio 2010

Energia da piccoli salti d'acqua: il futuro è nel mini idroelettrico

 

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L'energia idroelettrica potrebbe arrivare a generare 190mila GWh di elettricità l'anno, secondo alcune statistiche di Gse. Invece, attualmente è inferiore ai 40mila GWh. Un contributo sensibile potrebbe arrivare dal mini idroelettrico, cioè dalle piccole centrali, quelle inferiori a un megawatt o poco più potenti. La tecnologia ha vissuto negli ultimi cinque anni una sensibile evoluzione, al punto che ormai è possibile sfruttare salti e cascate inferiori ai 4 metri, riportando a nuova vita perfino gli antichi mulini. Una potenzialità notevole, considerando la ricchezza dei corsi d'acqua in Italia dove, a partire dagli anni '20 del secolo scorso, esiste una tradizione consolidata nelle piccole centrali. Perché non si assiste a una proliferazione di queste strutture?
«È un problema di autorizzazioni, di procedure, che andrebbero semplificate, e di concessioni allo sfruttamento dell'acqua che non possono essere di pochi anni, ma devono abbracciare un arco temporale più lungo - spiega Marco Lorenzi di Genhydro, una società che produce le piccole centrali -. Eppure il piano tariffario previsto dalla Finanziaria 2008 è molto favorevole: per le centrali inferiori al megawatt si parla di una remunerazione di 220 euro per MWh, mentre per le centrali più grandi si scende a 180 euro per MWh. Anche da un punto di vista ingegneristico non ci sono problemi: le nuove soluzioni di turbine compatte integrate permettono di produrre energia idroelettrica da piccoli salti. Per la facilità d'installazione e le modeste dimensioni rappresentano una nuova opportunità di utilizzo idroelettrico delle acque irrigue e fluviali anche in pianura. Possono essere posizionate in un salto compreso tra 1,4 e 3 metri, per una portata d'acqua compresa fra i 6 e i 30 metri cubi al secondo, per potenze comprese tra i 100 e i 500 kW».


Il progetto Smart e il ruolo delle Regioni
Società come Genhydro potrebbero, e vorrebbero, fare molto di più sul territorio italiano. Se il quadro normativo fosse più semplice e le procedure autorizzative più chiare e veloci. Se ne è parlato in un convegno a Cremona, che si è tenuto in concomitanza alla mostra convegno Buy Green. L'incontro si è collocato all'interno di Smart, un progetto finanziato dalla Comunità europea, che promuove la produzione di energia idroelettrica su piccola scala e soprattutto cerca di semplificarne l'adozione. «Il progetto parte dallo studio delle normative locali che regolano le procedure amministrative per la concessione alla derivazione dell'acqua per la produzione di elettricità» spiega Marco Antoniazzi della Provincia di Cremona che ha presentato il progetto in sede comunitaria e ora ne tiene le fila. «La riduzione della complessità delle normative attualmente in vigore potrebbe costituire un forte impulso per la diffusione del mini idroelettrico: oggi, deve sottostare alle stesse procedure autorizzative di centrali di medie dimensioni, che hanno problemi ben diversi e impatti ambientali molto più importanti».
Sostanzialmente, a regolamentare il settore provvede una serie di leggi e decreti che fanno riferimento sia allo sfruttamento dell'acqua che all'energia. A partire dal regio decreto del 1933, che detta le regole per l'uso privato di acque pubbliche, e dalla legge quadro 152/2006, che recepisce la direttiva Ue sulla protezione della risorsa acqua e dei corpi idrici. A questi si aggiunge il decreto 387/2003 che identifica il mini idro come una fonte di energia rinnovabile da incentivare economicamente. A questi tre pilastri si sommano, poi, una serie di decreti in materia di acqua ed energia, creando un quadro caotico, ulteriormente complicato dal decentramento amministrativo. Alle Regioni spetta infatti il rilascio di concessioni, la pianificazione energetica e dell'utilizzazione delle risorse idriche, la valutazione di impatto ambientale. Le Regioni possono a loro volta trasferire queste competenze alle Province, con una conseguente frammentazione del panorama amministrativo e un'inevitabile sovrapposizione, o assenza, di competenze autorizzative.


Le potenzialità del mercato e l'aiuto della ricerca
Se nel 1994 la produzione lorda dell'energia idroelettrica da apporti naturali era di 44.658 GWh, nel 2007 era scesa a 32.815 GWh. Nel caso poi delle piccole centrali inferiori a 1 Megawatt si parla di una produzione lorda nel 2007 di 1.415 GWh a cura dei 1.194 impianti censiti. «Il contributo del mini idro alle energie rinnovabili in Italia ha ancora notevoli margini di sviluppo» sostiene Maximo Peviani, responsabile Ambiente e sviluppo sostenibile di Cesi Ricerca, che testimonia l'interesse di tanti investitori, italiani e stranieri, che si rivolgono alla loro struttura per avere informazioni.
«Le possibilità di recupero delle potenzialità si basano, però, sulla conoscenza delle effettive situazioni idrologiche e geomorfologiche, e sulla collaborazione con gli altri utilizzatori della risorsa idrica, per esempio gli acquedotti e i consorzi delle reti irrigue e di bonifica, per attuare delle sinergie che permettano di sfruttare meglio questa risorsa». Cesi Ricerca, partner del progetto Smart, prevede quindi una raccolta di dati generali a livello nazionale e un censimento del potenziale mini idroelettrico nelle regioni di specifico interesse, in base alla disponibilità idrica, con studi sulle problematiche ambientali. Oltre al database, da rendere disponibile sul Web attraverso un sito creato appositamente, Cesi Ricerca si occuperà anche di creare le applicazioni informatiche che semplifichino l'adozione del mini idro, con la creazione di un prototipo di Sistema informativo territoriale (Sit) dedicato all'argomento.

rif.http://energia24club.it/articoli/0,1254,51_ART_95062,00.html

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martedì 27 luglio 2010

Le ali che ci daranno energia

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Ali di gabbiano per l’energia pulita del futuro. Mentre l’eolico in Italia è associato in queste settimane ai faccendieri della P3, nel Mare del Nord si gioca una grande partita energetica. Ingegneri britannici, statunitensi, danesi e norvegesi pensano infatti a una nuova generazione di turbine in mare aperto. Come l’Aerogenerator, previsto per il 2014 da Arup, società di design che ha curato anche l’Expo di Shanghai e che ha coprodotto quest’evoluzione della pala eolica insieme con un consorzio universitario e con il finanziamento di gruppi come British Petroleum, Rolls Royce e Shell. Si tratta di un gabbiano d’acciaio rotante in alto mare (per questa collocazione il genere viene detto «offshore») con un’estensione alare di 275 metri per catturare l’energia dei venti d’ogni provenienza.
«C’è una grande corsa a questo tipo di tecnologia - ha spiegato Feargal Brennan, professore d’Ingegneria alla Cranfield University, ateneo a Nord di Londra, dove è stata ideata una parte dell’Aerogenerator -. Si tratta di una dura sfida, la cui posta in palio è il dominio del mercato globale dell’energia eolica». Un settore in cui, al momento, le turbine al largo della costa paiono il futuro. E l’energia eolica, a sua volta, viene considerata il domani delle energie rinnovabili, soprattutto perché costa meno delle altre: solare, geotermico e biomasse. Anche se tutte queste hanno un prezzo superiore del 50% rispetto a carbone e petrolio.
Così si spiega il fiorire di incentivi per la ricerca in questa direzione. L’Ue ha posto al 2020 l’obiettivo del 20% di energia da fonti rinnovabili. Un traguardo raggiungibile solo con nuove tecnologie più potenti e meno costose. Aerogenerator e molti progetti simili rispondono alla prima caratteristica. Producono infatti dal vento fino a 10 megawatt istantanei, più di quanto serve a 3.000 famiglie, dato che il contatore di casa scatta a 3 kilowatt. Una quantità di gran lunga superiore alle turbine su terra, che si aggirano sui 3 megawatt con sperimentazioni fino a 7 megawatt. Quelle in mare sono più produttive, perché catturano un vento che non incontra alberi o montagne. Ma costano ancora tanto. E questo è il loro limite. Si stanno costruendo soprattutto nel Mare del Nord perché ha fondali più bassi (20-30 metri) e venti più forti che il Mediterraneo.
Aerogenerator e altri progetti simili fanno parte della nuova generazione di queste turbine marine, che si definiscono flottanti. Simili a piattaforme, infatti, sono ancorate con cavi a fondali fino a 150 metri, raggiungendo così il pregio di poter essere costruite ovunque e non solo dove il mare è poco profondo. La maggior parte di queste turbine sono prototipi anglosassoni, come Britannia, che a parte il nome, utile a fluttuare in mari inglesi, è di produzione della società statunitense Clipper; e come quelle in costruzione da parte dell’azienda norvegese Sway. Anche in Italia ci sono movimenti nel settore. In Puglia, di fronte al Gargano, si pensa ad una di queste turbine flottanti. E al Politecnico di Torino, dove nel 2006 si brevettò il primo progetto al mondo di eolico d’alta quota, è allo studio un prototipo industriale, anche per l’offshore, con ali mobili, legate a terra con cavi sintetici, e pronte a catturare il vento fino a 500 metri. Si chiama Kite energy e Mario Milanese, responsabile del progetto, ne parla entusiasticamente: «E’ la grande novità che manca: per leggerezza dei materiali e dei costi può ricavare energia dal vento con un costo di produzione più basso di quello del petrolio. Si tratta di un obiettivo mai raggiunto, per cui tutto il mondo della ricerca sta lavorando».
francesco.rigatelli(at)lastampa.it

mercoledì 21 luglio 2010

Di inceneritori si Muore !

Mi capita ancora di incontrare qualcuno, che apparentemente si spaccia per molto informato, che mi dice che gli inceneritori, oltre a smaltire i rifiuti ( in che modo mi scusi … ??!) , permettono anche di produrre l’energia necessaria per produrre corrente elettrica ( … ?! ).

 

Per quanto riguarda la questione ambientale e della salute del cittadino e di chi abita nell’intorno di qualche decina di km ad un inceneritore, ecco un bellissimo ed esaustivo video :

Per quanto riguarda il fatto che bruciare immondizia, per produrre energia , forse sfugge il fatto che ci vuole una bella quantita’ di immondizia, “ pulita “ e non umida ( non come quella stoccata nel napoletano per capirci le ecoballe ), per produrre l’energia necessaria ad accendere una lampadina ! .

A. Belvedere

mercoledì 14 luglio 2010

Lenta diminuzione del global warming, ma giugno 2010 è stato fra i più caldi in assoluto

Il Goddard Institute for Space Studies della NASA ha comunicato i dati relativi alle temperature medie globali del mese di Giugno, sulla base della comparazione dei dati provenienti dalle terre emerse e dagli oceani.

Mauro Meloni: 14-07-2010 ore 13:32

Qualche giorno fa abbiamo messo in evidenza i primi dati di giugno derivanti dalle rilevazioni dei sensori satellitari sulla bassa troposfera. Ora abbiamo invece a disposizione i dati al suolo relativi all'insieme delle terre emerse ed agli oceani, che ci permette di verificare se la febbre del pianeta stia leggermente calando, dopo la fortissima escalation degli ultimi mesi, in parte da attribuire al fenomeno di El Niño, il quale tuttavia ha ufficialmente chiuso i battenti.

immagine 1 del capitolo  del reportage 18355

Il mese di giugno 2010, a livello globale il terzi più caldo in assoluto dopo quelli del 1998 e del 2009. Fonte dati ERSST/NASA

immagine 2 del capitolo  del reportage 18355

Disaggregazione del dato d'anomalia per latitudine: si noti la conferma di temperature globali più fredde per quanto concerne la regione dell'Antartide e del Polo Sud Geografico, ove recentemente si sono toccate temperature molto base. Fonte dati ERSST/NASA

Il dato complessivo dell'anomalia globale di giugno è di 0,59°C (si notino tuttavia dalle immagini in alto le anomalie fredde sulla zona dell'Antartide), che è calato solo leggermente rispetto a maggio che aveva chiuso con 0,66°C. Tuttavia, il trend degli ultimi mesi mostra comunque una costante flessione dopo marzo, quando si era toccato il picco record di 0,83°C.

immagine 3 del capitolo  del reportage 18355

Grafico delle anomalie delle temperature superficiali, mese per mese, dal 1996 ad oggi. La linea tratteggiata in rosso si riferisce ai dati combinati fra le terre emerse e gli Oceani. Fonte dati ERSST/NASA

Le anomalie stanno dunque gradualmente diminuendo, tuttavia non nella misura rapida in cui ci si poteva attendere: facendo un raffronto del giugno 2010 con quelli del passato, possiamo dire che l'anomalia di quest'anno è la terza più importante alla pari col 2005. Il picco record per giugno a livello globale si era avuto nel 1998, con ben 0,69°C, mentre la seconda piazza spetta proprio al giugno di un anno fa, che fece registrare un'anomalia di 0,62°C.

Mauro Meloni

http://www.meteogiornale.it/notizia/18355-1-giugno-2010-dati-nasa-febbre-del-pianeta-in-discesa

XXII° secolo , anno 2218: milo mi scrive


Agli inizi del secolo XXII°, la popolazione si concentra in centri abitati, sempre piu' vasti. Città che si accorpano ad altre città e sviluppi verticali di centri abitati, hanno inflazionato il territorio obbligando i suoi abitanti ad espedienti tecnologici sempre piu' impegnativi e sofisticati, per ricavare l' acqua dal suolo.

In questo scenario di overflow, gruppi sempre piu' crescenti di persone, chiamati colonizzatori, si spostano alle periferie delle regioni popolate, alla ricerca di nuovi spazi da colonizzare, da rendere ospitali e produttivi.

Le stagioni alternano estati torride e poco piovose, ad inverni umidi e rigidi ! E' il risultato dell'effetto serra e dello scioglimento dei poli. L'interruzione della corrente “ termosifone “, che scorre lungo l'europa Occidentale, ha favorito la Piccole Era Glaciale ( peg ) creando periodi alternati di forti precipitazioni e caldo improvviso, ad inverni spaventosamente rigidi e prolungati.

I terreni inariditi, sono progressivamente desertificati e il territorio, di conseguenza, poco si adatta ad essere sfruttato per l' agricoltura e l' allevamento. I corsi d'acqua che si riempiono impetuosi nei periodi invernali e che in taluni casi straripano inondando le aree vicine, in estate scompaiono, come neve al sole, confondendosi con il territorio circostante, arido e polveroso. L'aria e il cielo, sono carichi di umidità, con residui di idrocarburi, mischiati all'ossigeno che respiriamo.

In questo scenario , la terrà circostante è sterile e necessita di “iniezioni” di fertilizzanti, di acqua e sole. Poi rinasce ! e piano piano riprende vita, dando la vita.

scritto da Andrea belvedere

lunedì 12 luglio 2010

RALLENTAMENTO DELLA CORRENTE DEL GOLFO E NUOVA ERA GLACIALE

La temperatura media dell’atmosfera è in costante aumento e ormai da molti anni si discutono le ragioni di questo riscaldamento globale e in che natura possa essere causato dall’inquinamento antropico. Il timore è che possa avere conseguenze inattese sulla formazione di acque profonde nel Nord Atlantico. Temperature più elevate nell’atmosfera sposteranno il fronte dei ghiacciai polari verso Nord e più all’interno della terraferma. Il fronte di ghiaccio, allontanandosi dai tratti di mare profondi tra la Groenlandia e la Norvegia ed entrando in acque più basse, può determinare una sostanziale riduzione della forza della pompa salina. Se la pompa salina perde potenza, diminuirà in proporzione anche la fornitura di acqua calda e salata verso il Nord Atlantico per opera della Corrente del Golfo. La salinità dell’acqua diminuirebbe ed anche la potenza della pompa salina diminuirebbe ulteriormente. Tale processo potrebbe determinare una glaciazione rapida e permanente delle acque a Nord dell’Islanda e delle Isole Færøer.

A questo punto la pompa salina e la Corrente del Golfo non potrebbero più portare calore nelle acque a Nord dell’Islanda. Le temperature in queste aree diminuirebbero fino ad un livello più basso rispetto a quello attuale determinando nel Nord Europa un regime climatico significativamente più freddo, forse vicino a quello dell’ultima Era Glaciale. Via via che il riscaldamento globale farà aumentare la temperatura del pianeta, il timore è che l’afflusso di grandi quantità di acqua dolce, liberata dal disgelo della coltre glaciale della Groenlandia e di altre regioni boreali, blocchi il cosiddetto “nastro trasportatore” o provochi un suo significativo rallentamento. Ciò potrebbe portare ad un raffreddamento della regione del Nord Europa. Anche se le temperature globali continuassero ad aumentare, il nastro trasportatore potrebbe rallentare o fermarsi.

Quando nel Nord Atlantico affluisce troppa acqua dolce che diluisce le correnti ad alta salinità provenienti da Sud, le acque superficiali non diventano abbastanza dense da sprofondare. I venti dominanti in questo modo portano aria fredda verso l’Europa creando condizioni di freddo che possono durare per decenni fino a quando le acque delle basse latitudini non diventano abbastanza saline da sopraffare quelle più dolci a Nord, facendo ripartire il nastro trasportatore con una gigantesca spinta.Se il nastro trasportatore si fermasse avremmo inverni rigidissimi in Europa e nell’America del Nord, mentre avremmo forti siccità in molte parti dell’Emisfero Australe, poiché non vi sarebbero più i monsoni provocati dalle correnti calde risalenti verso Nord.

L’inizio di una nuova Era Glaciale non è prevedibile con i modelli climatici attuali. Va ricordato che, in base alle ipotesi più pessimistiche, il clima potrebbe mutare in modo drastico ed imprevedibile in pochi anni. Una conferma scientifica sul rallentamento della Corrente del Golfo, il motore termico che scalda l’Europa nord occidentale, è data dagli studi condotti dal Prof. Wadhams, docente di fisica degli oceani dell’Università di Cambridge, il quale è sceso sotto la calotta artica a bordo di un sommergibile della Marina Britannica e ha scoperto che i mutamenti della circolazione oceanica ipotizzati in un futuro imprecisato sono già in atto. In passato, ha dichiarato Wadhams al Sunday Times, noi abbiamo trovato una sorta di grandi camini del mare, colonne di acqua densa fredda che scendevano dalla superficie al fondo marino, 3000 metri in profondità.

Ora sembrano essere quasi scomparsi. “Sono rimasti solo due di questi 12 camini termici e anche questi due sono così deboli che l’acqua fredda non riesce a raggiungere il fondo dell’oceano. Se la Corrente del Golfo, che trasporta 27.000 volte più calore di quello prodotto artificialmente in Gran Bretagna, si dovesse arrestare, la temperatura scenderebbe di 8-9 gradi”. Una prospettiva drammatica legata al maggior afflusso di acqua dolce che deriva dallo scioglimento dei Ghiacciai Artici (www.noaa.gov.us).Ora, se l’area di espansione dell’acqua, derivante dallo scioglimento dei ghiacciai si allargasse, il tapis roulant termico si arresterebbe: la Corrente del Golfo si fermerebbe prima di arrivare in Europa.

Dove, esattamente, nessuno può dirlo. Nel peggiore dei casi potrebbe arrestarsi molto prima di raggiungere l’Europa nord atlantica, ad una latitudine nord vicina al 40° parallelo, che in questo caso subirebbe un crollo delle temperature. È un segnale nuovo ed allarmante, perché trattasi di un fenomeno non lineare, cioè che procede a salti, con accelerazioni brusche. Il pericolo principale è dato dall’aumento delle superfici ghiacciate che produrrebbero un aumento dell’effetto albedo con effetto moltiplicativo del freddo perché il ghiaccio riflette la luce e rispedisce verso l’atmosfera una quota maggiore di calore. In conclusione il rallentamento della circolazione termoalina del Nord Atlantico è al momento pari al 45% (www.noaa.gov.us). Si tratta di un cambiamento momentaneo che rientrerà nella norma o peggiorerà? Ciò dipenderà dal trend di riscaldamento del pianeta.

 

Ref meteoscienze.it

NINA2010

Pubblichiamo e commentiamo le importanti novità registrate dal nuovo bollettino dell’ Agenzia Meteorologica Australiana.

Le temperature superficiali del mare nel Pacifico equatoriale centrale hanno continuato a raffreddarsi nel corso degli ultimi quindici giorni , e quindi il Pacifico tropicale è oggi generalmente più fresco della media  ad est del meridiano del cambio data .  Anche sotto la superficie , le temperature rimangono significativamente più fresche rispetto alla media, con alcune zone più fredde del normale anche di più di 4°C. Gli Alisei del Pacifico occidentale rimangono più forti del normale e la nuvolosità nei pressi del meridiano di cambio data continua a essere scarsa. Questi indicatori , insieme alla Southern Oscillation Index ( SOI ), che è positiva dal mese di aprile , sono coerenti con le fasi di sviluppo di un evento di La Niña .

La maggior parte dei modelli climatici esaminati dall'Ufficio Meteorologico australiano suggeriscono che l’attuale tendenza continuerà , con un significativo rischio di ulteriore raffreddamento dell'oceano al di là delle soglie La Niña prima della fine dell'inverno australe.

Storicamente , circa il 35-40 % di El Niño (come avvenuto nel 2009/10 ) sono seguiti da un evento di Niña nell’arco dello stesso anno . La combinazione della attuale tendenza e delle previsioni dei modelli matematici suggerisce che la probabilità di una Nina nel 2010 è ora chiaramente maggiore rispetto alle probabilità che ciò non avvenga.

La parte occidentale e orientale dell’ Oceano Pacifico tropicale ha continuato a raffreddarsi durante il mese di giugno. La mappa delle anomalie termiche superficiali marine per giugno mostra una vasta area di acque più fredde del normale che si estende lungo l’equatore a est del 160°W, con alcune zone della superficie marina con più di 1°C più fredde del normale per questo periodo dell’anno. Evidenti anomalie calde rimangono nelle zone marine prospicienti i continenti.

La sequenza degli ultimi quattro mesi che analizza le anomalie termiche delle acque sottosuperficiali dell’ Oceano Pacifico equatoriale, fino al 30 giugno, mostra un costante raffreddamento per ognuno dei quattro mesi. Un vasto volume di acque più fredde del normale ora si estende su gran parte delle acque sottosuperficiali dell’Oceano Pacifico. In qualche regione le acque sottosuperficiali superano i 3° di anomalia negativa rispetto alla media.

La mappa delle anomalie sottosuperficiali degli ultimi cinque giorni con fine il 5 luglio mostra un vasto volume di acqua sottosuperficiale più fredda del normale nel Pacifico equatoriale con anomalie inferiori ai 4° in meno rispetto al normale per questo periodo dell’anno nel Pacifico centrale. L’anomalia per le acque sottosuperficiali non è cambiata significativamente nel corso delle ultime due settimane.

Come da tempo Meteoscienze aveva sottolineato e previsto analizzando l’andamento particolarmente interessante delle acque sottosuperficiali oceaniche. La Nina fa ufficialmente ingresso in questo giugno 2010. Ancora l’ Agenzia Meteorologica Australiana si tiene cauta sull’annunciare l’inizio della Nina. Ma se andiamo a vedere il valore del MEI per il mese di giugno registriamo un valore di -0.412 (un vero e proprio tracollo rispetto al +0.539 di maggio), valore che non si registrava dall’aprile del 2009, siamo dunque entrati probabilmente in un periodo di ENSO NEGATIVA, di cui non possiamo al momento né definire la lunghezza né la magnitudo. I parametri in nostro possesso però, dall’analisi delle acque sottosuperficiali  ai modelli previsionali, ci fanno nettamente protendere per la previsione di un evento di Nina del tutto fuori dal normale con magnitudo e durata molto interessanti. Sappiamo che le conseguenze a livello climatico non si faranno attendere, per cui partendo dalle conseguenze globali ci aspettiamo nel corso del prossimo autunno un deciso ridimensionamento delle anomalie termiche che potrebbe così evitare al 2010 di battere tutti i record storici, come l’incipit di questo anno faceva fino allo scorso mese pensare. Dal punto di vista invece locale iniziano a delinearsi interessanti novità con una possibile accoppiata QBO negativa e Nina strong che insieme alla continua tendenza ad AO negativa potrebbero portare non solo ad un autunno precoce ma ad un inverno dalle spiccate caratteristiche fredde a livello europeo per possibili importanti blocchi atlantici che insieme alla AO negativa potrebbero portare a irruzioni importanti  finalmente anche a sud del 42° parallelo…ma avremo tempo per riparlarne…intanto salutiamo con malcelata soddisfazione il ritorno della bambinella per placare i bollenti spiriti del GW.

Evidente come attualmente i modelli matematici non solo vedano una magnitudo della prossima Nina decisamente forte, ma soprattutto non riescano a vedere una fine "veloce" della prossima Nina...Fonte Agenzia Meteorologica Australiana.

Ref meteoscienze.it

domenica 11 luglio 2010

accelleratore di particelle

CHE COS’E’ UN ACCELERATORE DI PARTICELLE ?

E’ un potente microscopio che, utilizzando come sonde particelle subatomiche accelerate, è in grado di esplorare la struttura più intima della materia. Accelerare vuol dire aumentare la velocità. Maggiore è la velocità, maggiore è l’energia e il potere penetrante.
Oltre che per generare sonde, gli acceleratori possono essere utilizzati per generare nuove particelle. Ricreando condizioni simili a quelle che si sono avute subito dopo il big bang, permettono di studiare i primi istanti di vita del nostro universo quando questo era
costituito da particelle libere: quark e leptoni.

COME E’ FATTO UN ACCELERATORE DI PARTICELLE?

Il più semplice acceleratore è costituito da una batteria. Se i capi della batteria vengono collegati ad un filo elettrico gli elettroni in esso contenuti accelerano generando una corrente elettrica. Mettendo più batterie in serie è possibile aumentare l’energia degli elettroni. In un acceleratore si utilizzano dispositivi simili alle batterie che aumentano la velocità degli elettroni stessi fino a far raggiungere loro velocità prossime a quella
della luce. A tal punto continuando ad accelerare, non si ha più un aumento della velocità, ma un aumento dell’energia. Con questo metodo, oltre agli elettroni, possono essere accelerati tipi diversi di particelle ed avere tipi diversi di sonde.
Tipicamente in un acceleratore vengono accelerati fasci costituiti da miliardi di particelle.
All’energia desiderata il fascio viene fatto urtare contro un bersaglio e dall’urto vengono generate nuove particelle. Dallo studio di queste ultime è possibile ricavare informazioni non solo sulla struttura del bersaglio, ma anche sul tipo di interazione che governa il processo.

La Marea Nera potrebbe frenare la Corrente del Golfo?

Secondo gli studi del dott. Zangari, in collaborazione con l'Università del Colorado, l'enorme emissione di petrolio (100 milioni di litri) nel Golfo del Messico, avvenuta a causa del disastro della Multinazionale British Petroleum, avrebbe già causato mutamenti mai visti prima nella circolazione interna al Golfo con la quasi completa estinzione della Loop Current, elemento determinante per il corretto funzionamento della celeberrima Corrente del Golfo. Quali le conseguenze?

immagine articolo 18331

Nelle due immagini del golfo del Messico vediamo nella prima il normale funzionamento della Loop Current, nella seconda invece il suo attuale funzionamento alterato e quasi bloccato.

Tutti ormai conoscono la Corrente del Golfo, soprattutto a causa della visione del film catastrofista "The Day After Tomorrow". Pochi però sanno davvero come in realtà funzioni. La Corrente del Golfo, in grossolana sintesi, raccoglie calore nel Golfo del Messico per poi trasportarlo via mare verso nord-est, riscaldando così gran parte dell'Europa nord-occidentale, dall'Islanda alla Scandinavia, dalle Isole Britanniche alle coste Europee, che in caso contrario penerebbero per climi ben più rigidi. Quando in passato qualcosa la ha bloccata o anche solo rallentata, gli effetti sul clima europeo (e non solo ) sono stati catastrofici. Si ricorda sempre il classico evento della Dryas Recente, quando un enorme riversamento di acque dolci nell'Oceano Atlantico bloccò per mille anni la Corrente del Golfo, ricacciando così grande parte dell'Europa nell'Era Glaciale.

È ovvio dunque che la Corrente del Golfo è un meccanismo fisico-chimico che assicura un clima mite al Vecchio Continente. Intervistando il dott. Zangari, fisico teorico, tra l'altro studioso di grande disponibilità e cortesia che lavora al "Frascati National Laboratories (LNF) - National Institute of Nuclear Physics (INFN)", appare evidente che l'enorme riversamento di un fluido molto denso e viscoso come il petrolio all'interno di un ecosistema molto delicato come quello del Golfo del Messico stia causando quello che potrebbe divenire il più grande disastro ecologico causato dall'uomo nel corso della sua storia. Perché al di là degli evidenti danni alla flora, alla fauna e a tutti i microorganismi marini che da millenni determinano l'equilibrio biologico dell'area, all'analisi dettagliata satellitare appare evidente che tale massiccia e improvvisa immissione di petrolio stia rompendo il meccanismo fondamentale attraverso il quale la Corrente del Golfo raccoglie calore per poi distribuirlo sulle coste nord-orientali dell'Atlantico.

La Loop Current, come possiamo anche vedere se clicchiamo sull'immagine a fianco, è un complesso meccanismo attraverso il quale masse di acqua calda dell'area dello Yucatan vengono trasportate quasi con un movimento circolare (da qui il termine loop) verso l'area di Cuba e da qui possono poi fuoriuscire attraversando lo stretto con la Florida immettendosi nella Corrente del Golfo. Questa è la situazione normale, ben descritta dalla prima immagine satellitare.

Ma se tale Loop Current dovesse essere frenata o addirittura bloccata e distrutta, allora anche la Corrente del Golfo non potrebbe più ricevere il carico di calore da distribuire ai paesi europei (questa è la situazione alterata, descritta nella seconda immagine satellitare). Le conseguenze potrebbero quindi essere anche molto gravi. Ricordiamo però che si tratta solo di ipotesi che il dott. Zangari ha messo a punto attraverso il suo sistema di calcolo per fenomeni non lineari a base statistica denominato SHT. Ogni volta che ci si trova di fronte a sistemi complessi bisogna ovviamente rifuggire da previsioni deterministiche e meccaniche. Si tratta però certamente di una situazione critica, da monitorare con attenzione.

Link all'articolo originale: http://www.associazionegeofisica.it/OilSpill.pdf

http://www.meteogiornale.it/notizia/18331-1-marea-nera-petrolio-golfo-messico-stop-corrente-del-golfo