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martedì 27 luglio 2010

Le ali che ci daranno energia

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Ali di gabbiano per l’energia pulita del futuro. Mentre l’eolico in Italia è associato in queste settimane ai faccendieri della P3, nel Mare del Nord si gioca una grande partita energetica. Ingegneri britannici, statunitensi, danesi e norvegesi pensano infatti a una nuova generazione di turbine in mare aperto. Come l’Aerogenerator, previsto per il 2014 da Arup, società di design che ha curato anche l’Expo di Shanghai e che ha coprodotto quest’evoluzione della pala eolica insieme con un consorzio universitario e con il finanziamento di gruppi come British Petroleum, Rolls Royce e Shell. Si tratta di un gabbiano d’acciaio rotante in alto mare (per questa collocazione il genere viene detto «offshore») con un’estensione alare di 275 metri per catturare l’energia dei venti d’ogni provenienza.
«C’è una grande corsa a questo tipo di tecnologia - ha spiegato Feargal Brennan, professore d’Ingegneria alla Cranfield University, ateneo a Nord di Londra, dove è stata ideata una parte dell’Aerogenerator -. Si tratta di una dura sfida, la cui posta in palio è il dominio del mercato globale dell’energia eolica». Un settore in cui, al momento, le turbine al largo della costa paiono il futuro. E l’energia eolica, a sua volta, viene considerata il domani delle energie rinnovabili, soprattutto perché costa meno delle altre: solare, geotermico e biomasse. Anche se tutte queste hanno un prezzo superiore del 50% rispetto a carbone e petrolio.
Così si spiega il fiorire di incentivi per la ricerca in questa direzione. L’Ue ha posto al 2020 l’obiettivo del 20% di energia da fonti rinnovabili. Un traguardo raggiungibile solo con nuove tecnologie più potenti e meno costose. Aerogenerator e molti progetti simili rispondono alla prima caratteristica. Producono infatti dal vento fino a 10 megawatt istantanei, più di quanto serve a 3.000 famiglie, dato che il contatore di casa scatta a 3 kilowatt. Una quantità di gran lunga superiore alle turbine su terra, che si aggirano sui 3 megawatt con sperimentazioni fino a 7 megawatt. Quelle in mare sono più produttive, perché catturano un vento che non incontra alberi o montagne. Ma costano ancora tanto. E questo è il loro limite. Si stanno costruendo soprattutto nel Mare del Nord perché ha fondali più bassi (20-30 metri) e venti più forti che il Mediterraneo.
Aerogenerator e altri progetti simili fanno parte della nuova generazione di queste turbine marine, che si definiscono flottanti. Simili a piattaforme, infatti, sono ancorate con cavi a fondali fino a 150 metri, raggiungendo così il pregio di poter essere costruite ovunque e non solo dove il mare è poco profondo. La maggior parte di queste turbine sono prototipi anglosassoni, come Britannia, che a parte il nome, utile a fluttuare in mari inglesi, è di produzione della società statunitense Clipper; e come quelle in costruzione da parte dell’azienda norvegese Sway. Anche in Italia ci sono movimenti nel settore. In Puglia, di fronte al Gargano, si pensa ad una di queste turbine flottanti. E al Politecnico di Torino, dove nel 2006 si brevettò il primo progetto al mondo di eolico d’alta quota, è allo studio un prototipo industriale, anche per l’offshore, con ali mobili, legate a terra con cavi sintetici, e pronte a catturare il vento fino a 500 metri. Si chiama Kite energy e Mario Milanese, responsabile del progetto, ne parla entusiasticamente: «E’ la grande novità che manca: per leggerezza dei materiali e dei costi può ricavare energia dal vento con un costo di produzione più basso di quello del petrolio. Si tratta di un obiettivo mai raggiunto, per cui tutto il mondo della ricerca sta lavorando».
francesco.rigatelli(at)lastampa.it