TRA una ventina d’anni, o forse anche meno, un bambino di sei anni sarà in grado di aprire la sua prima banca, non il semplice conto: potrà semplicemente scaricare la sua banca sul proprio smartphone diventando un banchiere che può emettere la sua moneta». Punta a stupire Andreas Antonopoulos, esperto di sicurezza informatica e gran fautore della rivoluzione che il bitcoin sta realizzando nel mondo della finanza.
Ma subito incalza per rafforzare la sua visione: «Sarà in grado di generare milioni di conti, interagire con il mondo intero, mediante un sistema globale più potente di Swift, inviare pagamenti, prestare soldi e ricevere prestiti ovunque: è un potere più grande delle banche odierne. Senza dubbio il sistema bancario come lo conosciamo oggi cambierà per sempre».
Artefice di questa trasformazione è il bitcoin, la criptovaluta nata sette anni fa, che Antonopoulos considera una vera alternativa a un sistema finanziario che sta mostrando tutti i suoi limiti: «Ha caratteristiche uniche: è globale, open access, indipendente, transnazionale, non ha bisogno di autorizzazioni, del tutto simile a quella palestra di innovazione che è internet». Non ha dubbi il 48enne di origini greche, a Milano per il Fintech Talks di Deloitte dedicato alla blockchain, il sistema fatto di blocchi digitali validati da un sistema distribuito che tengono traccia delle transazioni: «Il bitcoin è l’applicazione più interessante di blockchain, la più internazionale e sicura. Ma l’innovazione nasce dalla “proof of work”, il lavoro di certificazione distribuita che offre la garanzia di immutabilità sul lungo periodo: una volta che la transazione è validata non può essere modificata da nessuno. Neanche con il consenso di tutti i miners si potrebbe arrivare a modificare o cancellare una transazione perché bisognerebbe modificare l’intera catena e ci vorrebbe una capacità di calcolo inimmaginabile».Ma subito incalza per rafforzare la sua visione: «Sarà in grado di generare milioni di conti, interagire con il mondo intero, mediante un sistema globale più potente di Swift, inviare pagamenti, prestare soldi e ricevere prestiti ovunque: è un potere più grande delle banche odierne. Senza dubbio il sistema bancario come lo conosciamo oggi cambierà per sempre».
Una garanzia resa possibile solo da una blockchain “pubblica”, basata su un «ledger aperto e permisionless, senza necessità di autorizzazioni». Perché quei sistemi chiusi che le grandi banche globali stanno studiando punt ano a cambiare le regole del gioco di bitcoin: «Un consorzio di banche può ipotizzare una blockchain chiusa e privata, che non offre più le stesse garanzie: ha la possibilità di manipolare e di cambiare il passato, andando indietro di anni per riscrivere la storia». Ma Antonopoulos va oltre: «Le grandi banche stanno studiando un sistema di settlement e clearing su blockchain. Ma ha senso? Oggi sistemi di clearing globali come Swift sono gestiti da terze parti, non dai market-makers. Se invece le banche iniziano a farlo per le loro transazioni si apre un pericoloso conflitto d’interessi nel clearing».
Per questo è convinto che la risposta risieda nel bitcoin: «Ha creato un ambiente in cui valute diverse possono collaborare e coesistere. Il sistema delle monete rappresenta una competizione a somma zero tra sistemi-paese chiusi, mentre il bitcoin non compete su questo piano, ma offre la possibilità di inaugurare un sistema multicurrency di una scala mai vista: i costi di scambio tra criptovalute sono irrisori rispetto alle valute tradizionali. Possiamo ipotizzare di avere un singolo wallet che opera su tutte le valute, in tempi rapidisssimi e senza costi di arbitraggio».
Ma le monete hanno bisogno di un sistema che offra garanzie di stabilità e continuità? «L’illusione di una fiducia basata sulle Banche centrali si è dimostrata estremamente volatile e fragile. È falso che le autorità abbiano il controllo sul valore della moneta, quello che controllano al massimo è la velocità di circolazione e i tassi di interesse mediante il sistema interbancario. Ma sono elementi fragili e secondari».
È difficile però capire su cosa si basi la fiducia in un sistema senza autorità centrali… «Abbiamo esperienza di sette anni di fiducia basata sulla rete, il sistema ha dimostrato di poter funzionare senza falle, ventiquattr’ore al giorno, sette giorni su sette. Abbiamo avuto qualche problema solo alla periferia, in sistemi di custodia che hanno replicato meccanismi centralizzati. Proprio com’è successo per le tlc, le banche in qualità di garanti della fiducia saranno rapidamente disintermediate dalle tecnologie e la loro rilevanza sarà ridotta in termini di valore, di potere e di livelli di profittabilità».
D’altra parte c’è già oggi una gran maggioranza della popolazione mondiale che ha un enorme problema di fiducia in un sistema bancario che la esclude: «Nel mondo solo 1,5 miliardi di persone hanno rapporti con banche, ci sono altri sei miliardi che sono senza banca o “underbanked”. Con bitcoin possiamo introdurre servizi finanziari ovunque possa arrivare un sms, su un cellulare che oggi costa 20-25 dollari e domani probabilmente 5 dollari. Già oggi lavoro con banche brasiliane e sudafricane che stanno pensando a questo nuovo sistema per raggiungere decine di milioni di nuovi utenti».
Quindi, nonostante polemiche e accuse, il bitcoin è un sistema senza rischi? «L’unico pericolo che vedo è l’imposizione dell’identità e la violazione della fungibilità. L’identità non è la soluzione ma il problema di un sistema finanziario che esclude milioni di persone e che è fonte di furti enormi. Il sistema anonimo è percepito come pericoloso ma per me è una grande opportunità per favorire l’inclusione, la crescita di un sistema resistente alla censura e indipendente rispetto alla politica». «Il limite del sistema attuale – conclude Antonopoulos – è che qualsiasi tipo di moneta deve essere legata alle persone come proprietà legale. Il bitcoin elimina questo legame».
E Satoshi Nakamoto? «Non mi interessa sapere l’identità dell’inventore del bitcoin: è un sistema aperto e collettivo governato da un algoritmo. Non legato a una singola persona».