L'imprenditore Francesco Biasion, ex fabbro, ora ha 6 stabilimenti. Costretto a dirottare altrove il maglio più grande del mondo: "In Carinzia mi hanno accolto con banda e majorettes. Il Belpaese è perduto"
Ce l'aveva messa tutta, l'imprenditore
veneto Francesco Biasion, 76 anni, per farsi piacere l'Italia. Bastonalo
oggi, bastonalo domani, alla fine s'è stufato e ha preferito traslocare
in Austria. Prima, però, ha reagito con un micidiale colpo di maglio,
che ha spiaccicato Stato, Regione, Provincia di Vicenza, Comune di
Mussolente e, discendendo per li rami, un po' tutte le autorità e le
burocrazie costituite: magistratura, Agenzia delle entrate, Asl,
carabinieri, vigili urbani, Confindustria, sindacati.
Francesco Biasion ha 1.000 dipendenti e fattura 246 milioni di euro fra Ue e Usa (Maurizio Don)
Immagine per nulla figurata, giacché per mandare in mona -
come usa dire da queste parti - tanta bella gente, il Biasion, ex fabbro
con la quinta elementare che oggi stipendia 1.000 dipendenti («ma ero
arrivato a mantenerne 1.200») e fattura ogni anno 157 milioni di euro in
Europa e 100 milioni di dollari negli Stati Uniti, ha usato per davvero
un maglio. Il più grande esistente al mondo. Un mostro del peso di
1.500 tonnellate che, quando cala sul pezzo di metallo incandescente,
esercita una pressione pari a 55 milioni di chili. «Dovevo installarlo
qui a Mussolente, invece l'ho dirottato alla Boltex di Houston, uno dei
due stabilimenti che ho nel Texas. Risultato: persi 500 posti di lavoro
che il maglio poteva creare in Veneto, più un migliaio nell'indotto. I
politici? Non hanno fatto una piega. Manco una telefonata per dirmi: “Ma
Biasion, cosa fa? È impazzito?”».
Fosse vera questa ipotesi, si
tratterebbe di un caso di lucida follia, visto che, subito dopo, il
nostro ha spostato a Lincoln, in Inghilterra, anche una pressa a vite da
32.000 tonnellate di potenza per lo stampaggio a caldo dell'acciaio,
alta 14 metri e pesante 17.500 quintali, il primo impianto del genere
nel Regno Unito, un investimento da 100 milioni di euro. E non è finita:
nello stabilimento di Mussolente tiene ferme altre due presse da 8.000
tonnellate ciascuna, prodotte dalla Sumitomo e giunte cinque anni fa dal
Giappone, 17 milioni di euro chiusi nel cellofan coperto di polvere.
«Dice che così ci rimetto? Me ne ciavo! Sono pieno di robe che non
adopero. Se avessi comprato azioni della Banca popolare di Vicenza, ci
smenavo di più. Intanto le due presse restano lì. Da qualche parte le
manderò. Ma qui non le monto di sicuro. Basta! Con questo Paese ho
chiuso. Mi trattano come un delinquente? E io smetto d'investire in
Italia».
Coerente con l'enunciato, Biasion è andato a costruire
una fabbrica ad Althofen, pittoresca cittadina di 4.600 anime nel cuore
della Carinzia, 345 chilometri da Mussolente, «tre ore e mezzo di auto»,
dov'è stato accolto con fanfara, majorettes e jodler cantati a
squarciagola. «L'abbiamo tirata su in meno di 10 mesi. Da dicembre è in
produzione, per il momento con 50 operai, tutti austriaci. A breve conto
di arrivare almeno a 300. Invece a Mussolente, dove ne ho 450, scenderò
a 200. Ma senza spargimenti di sangue. A mano a mano che i dipendenti
vanno in pensione, non li rimpiazzo. Ribadisco il concetto: con il
Belpaese, anzi brutto, ho chiuso per sempre».
Bifrangi, la
creatura di Biasion, era, e in parte resta, un fiore all'occhiello del
made in Italy: «Quelli come noi chiudono un po' in tutto il mondo. Si
aprono spazi enormi. Mai visti così tanti ordinativi, pensi che
paradosso». L'azienda vicentina è specializzata nello stampaggio a caldo
degli acciai: flange, ingranaggi, raccordi. Non sapevo che cosa fossero
le flange fino a quando non sono entrato nella fucina di Mussolente,
fra lapilli di fuoco che ti avvampano il viso - 1.250 gradi di
temperatura - e colpi di pressa che ti rimescolano le budella. Trattasi
di piastre a forma di anello indispensabili per unire fra loro le
condutture di qualsiasi tipo (acquedotti, oleodotti, gasdotti,
collettori, fognature, termosifoni, caldaie, condizionatori), motivo per
cui Biasion ama definirsi «un industriale quasi del tubo». La Bifrangi
fornisce flange e congegni per ruote, trasmissione e cambio dei veicoli.
Ecco perché fra i suoi clienti, accanto a multinazionali come la
nipponica Nsk e la svedese Skf, vi sono Toyota, Volkswagen, Audi, Bmw e i
colossi delle macchine per movimento terra e agricoltura, da
Caterpillar a John Deere. Lavora ogni anno 205.000 tonnellate di
acciaio. Oltre alla sede storica di Mussolente, a quella neonata di
Althofen, alle due unità produttive di Houston e allo stabilimento
inglese di Lincoln, conta una sesta fabbrica a Sheffield, sempre in Gran
Bretagna, l'ex capitale della siderurgia che ha dato al cinema i
metalmeccanici disoccupati improvvisatisi spogliarellisti in The full
monty. E sta trattando l'acquisto di una settima unità produttiva in
Spagna, a Tudela.
Perché s'è fermato alla quinta elementare?
«Non
mi piaceva studiare. A 6 anni ero già alla forgia con mio padre. Sa,
stiamo parlando del tempo di guerra. Martelli, tenaglie e zappe mica si
compravano al Bricocenter. Li faceva il fabbro».
La sua fuga dall'Italia è stata originata dal maglio, ho capito bene?
«Benissimo.
Nel 2006 dico al sindaco di Mussolente: vorrei farmi costruire il più
grande maglio mai realizzato sulla faccia del pianeta. Lui non mi pone
obiezioni. Così io, stupido, lo ordino alla tedesca Müller Weingarten,
che ha sede vicino al lago di Costanza. Un bestione per lo stampaggio in
acciaio di componenti aeronautici, visto che in Inghilterra ho avviato
un centro di ricerche con la Boeing. Pezzi da 50 quintali, lunghi fino a
4 metri, che il maglio sagoma riducendoli a frittelle».
Ostrega.
«Eh,
caro mio, ma per mettere giù un coso del genere servono fondamenta
profonde 16 metri e larghe altrettanto. Un'opera d'arte. Faccio
preparare il progetto. Regione e Provincia danno l'ok. Positivo anche il
Via, valutazione d'impatto ambientale. A quel punto il Comune mi
traccia per dispetto una strada proprio nell'area del nuovo capannone
per il maglio».
Ma tu guarda.
«Protesto.
Litigo. Alla fine, bontà loro, la strada non serve più, la tolgono. E mi
concedono l'ampliamento dell'area industriale. Però il sindaco si
accorge che il capannone è troppo alto: gli uccelli potrebbero sbatterci
contro».
Sta scherzando?
«Mai stato più
serio. Di conseguenza non mi firma la licenza edilizia. Due anni e mezzo
persi a battagliare. Nel frattempo gli oneri di urbanizzazione salgono
da 500.000 a 800.000 euro. Obtorto collo, accetto di pagare. Mi
concedono una deroga per l'inizio dei lavori. Parto con gli scavi.
Spendo milioni. Ma ancora non è finita. “In cambio devi farci il
municipio nuovo”, mi ordinano. Non ci penso nemmeno! Allora rivoltano la
frittata: “Ci firmi una convenzione senza riserve”».
Vale a dire?
«Dovevo accettare a priori eventuali modifiche del progetto, e relativi oneri, decise dal Comune in corso d'opera».
Una follia.
«Tenga
conto che far arrivare il maglio dalla Germania a Mussolente mi costava
2,5 milioni di euro, perché, non essendoci strade adatte per un
trasporto eccezionale di quelle dimensioni, bisognava fare il giro
dell'oca per mezza Europa e poi raggiungere Venezia con una nave. E se,
una volta consegnato, me l'avessero bloccato? Ho alzato il telefono.
G'ho ciamà i me tosi a Houston. Ci conosciamo da 35 anni».
E che cosa gli ha detto?
«Di
provare a chiedere allo Stato del Texas e alla Contea di Harris se ci
sarebbero stati problemi nel caso in cui avessi deciso di collocare il
maglio alla Boltex. La risposta è giunta in giornata: “A casa vostra
fate quello che vi pare”. Il maglio l'ho mandato là. Dopo un anno era
già funzionante».
Non capisco perché ora tiene impacchettate due mega presse già pagate alla Sumitomo.
«Senta,
la Bifrangi è una società per azioni che non ha mai distribuito
dividendi. Versate le tasse - quest'anno 5 milioni - ciò che resta, e le
assicuro che è tanto ma proprio tanto tanto, l'ho sempre investito in
nuovi macchinari. Un giorno chiedo la mia fedina penale al casellario
giudiziale». (Tira fuori due fotocopie da un cassetto della scrivania).
«Vede? Denunce, multe, processi per questo e per quello, lesioni,
persino omicidio colposo. Un pendaglio da forca. Vorrei sapere in quale
altra officina di simili dimensioni non sia mai capitato un incidente
sul lavoro».
Mi sfugge il motivo per cui in Italia tutti ce l'avrebbero con lei.
«Dipenderà
dal fatto che non ho mai unto le ruote a nessuno? Non so, me lo dica
lei. Decido di costruire gli alloggi per i miei 50 dipendenti africani
privi di casa, e mi stoppano il progetto. Pulisco qui fuori un prato
pieno di sterpaglie e metto a dimora un po' di piante con tre panchine,
affinché d'estate possano trovarvi riparo dal sole i poveri autisti dei
Tir che arrivano da tutto il mondo, e mi sequestrano l'area accusandomi
di costruzione abusiva. Posiziono una recinzione metallica e
m'ingiungono di arretrarla di 3 metri rispetto al fronte strada, mentre
ai vicini è concesso stare a 3 centimetri, così finisco addirittura
nelle grinfie dell'Agenzia delle entrate. Chiedo di ristrutturare la
casa-fucina in cui sono nato, che cadeva a pezzi, però mi negano la
licenza. Allora sa che cos'ho fatto? L'ho rasa al suolo, lasciando che
ci crescano sopra le erbacce. Un bel presepio, proprio nel centro di
Mussolente. La vergogna del paese».
E se n'è andato in Austria.
«All'arrivo
ad Althofen ho trovato ad attendermi sindaco e vicesindaco. Mi hanno
mostrato 5-6 lottizzazioni industriali, una più bella dell'altra.
L'ultima sembrava una località di villeggiatura. Ho chiesto: quanto
viene? “Già urbanizzata, 15 euro al metro quadrato”. Qui a Mussolente me
ne chiedevano 300. Ho subito stretto la mano al sindaco: affare fatto.
Non solo. Mi hanno regalato 3,5 milioni di euro a fondo perduto per
costruire uno stabilimento che ne costa 33. Il governo austriaco mi ha
concesso un mutuo settennale di 7,5 milioni al tasso fisso dello 0,5 per
cento. E in più il sindaco me g'ha portà quatro piègore».
Quattro pecore?
«Sì,
in dono, oltre ad alcuni innesti di meli rarissimi. Le tengo nella
fattoria qui accanto, insieme con 30 vacche, 40 maiali, conigli,
galline, oche. Mi hanno vietato di dichiararmi azienda agricola. Eppure
produco in proprio la carne, l'olio extravergine d'oliva e il vino per
la mensa aziendale, dove serviamo i pasti gratis in quattro turni,
perché la fabbrica funziona 24 ore su 24. Cuociamo persino panettoni e
colombe pasquali da regalare ai dipendenti. I quali si portano a casa
anche frutta e verdura del podere».
La Bifrangi lascerà Mussolente?
«La
questione è allo studio. Perché dovrei offrire un posto di lavoro agli
italiani? Per prendermi scarpate nel culo ed essere trattato da
criminale? Vadano a farselo dare da Landini e dalla Camusso! Ho
licenziato per giusta causa quattro fancazzisti che si rifiutavano di
svolgere alcune mansioni. Il giudice del lavoro mi ha ordinato di
riassumerli. Ho dovuto pagargli pure i danni morali».
Non è che nel resto del mondo non esistano giudici e sindacati.
«Momento!
A Lincoln e a Sheffield ho avuto a che fare con lo zoccolo duro dei
metalmeccanici britannici. Da 500 che erano, ne ho mandati lo stesso a
casa 250 che non si comportavano bene. In Austria un dipendente è
licenziabile persino in malattia, se non ti serve più».
Non mi pare una conquista sociale.
«Infatti
io mica lo licenzio. Ma provi a chiedersi perché posso conservargli il
posto. Benché il suo costo orario sia uguale a quello di un operaio
italiano, 25 euro l'ora, in Austria pago solo il 25 per cento di tasse.
Tutto compreso. No Ici, no Imu, no Ires, no Irap, no Tasi».
Ma i crucchi non guardano di malocchio noi italiani?
«Al contrario, ti fanno sentire un padreterno. Al ristorante non riesco mai a pagare il conto: il pranzo me lo offrono loro».
Perché non sta mai fermo? Non potrebbe concedersi un po' di riposo, alla sua età?
«È
un vizio. Lo devo ai clienti. Guardi che cosa mi ha portato ieri un mio
committente turco, assaggi». (Apre una lussuosa confezione di lokum
prodotti da Bereket, pasticceria fondata nel 1923 a Istanbul, con
l'immagine della Moschea Blu sulla scatola di seta).
Pensa che il premier Matteo Renzi riesca a raddrizzare l'Italia?
«Tante
ciacole e basta. Picchia i più deboli e lascia stare i più forti. Non
c'è speranza per l'Italia, dia retta a me. Puoi solo andartene».
Francesco Biasion ha 1.000 dipendenti e fattura 246 milioni di euro fra Ue e Usa (Maurizio Don)