La fabbrica del futuro. Una fabbrica piccola, vuota, quasi senza operai. Con tutta l’occupazione ai margini: prima e dopo (tra gli ingegneri creativi che pensano i progetti e gli integratori di sistemi che li pongono in essere) e completamente dislocata: non più nel perimetro delle zone industriali ma a domicilio, presso i clienti e i consumatori.
Il profilo del settore industriale e manifatturiero del futuro, basato sulla stampa 3D, disegna una silhouette atipica e inaspettata, sia nel pensiero degli economisti contemporanei che degli industriali. Eppure, questo racconta la ricerca applicata alle stampanti 3D pensate non per la micro-produzione casalinga ma per la componentistica e i pezzi finiti della grande impresa (automobili, navi, grattacieli, aerospaziale). La ricerca che non parla di start-up da giardino con quattro ragazzi che stampano il telefonino del futuro, ma di colossi industriali.
«La ricerca che stiamo portando avanti – dice Ursus Krüger, uno dei responsabili dei laboratori di Siemens a Berlino – parte dalla prototipazione con zero difetti per arrivare alla produzione con zero difetti su macchine per la manifattura additiva. È tutto giocato su nuovi materiali hi-tech, sulla capacità delle nuove macchine, sul nuovo modo di fare design, sui processi innovativi di produzione che stiamo studiando da zero».
Krüger, fisico teutonico imponente e folta barba, ha una voce gentile e le penne nel taschino della camicia che tradiscono la sua origine come ingegnere. È appassionato alla macchina ma anche a quello che c’è dietro: il suo laboratorio è in un palazzo di Berlino vicino alla fabbrica in cui Siemens produce gigantesche turbine a gas per le quali alcune componenti sono già stampate in 3D. «Siamo sul mercato da 165 anni – dice Krüger e facciamo soldi perché la gente paga per i nostri prodotti. E paga perché siamo innovativi, abbiamo nuove idee. La stampa 3D è la più grossa innovazione nel mondo della manifattura industriale degli ultimi cento anni».
La trasformazione della fabbrica “vecchia”, industriale, tradizionale, passa da questo cambiamento, l’unico che possa riuscire secondo Siemens a riportare la prossima ondata di produzione industriale stabilmente in Europa: possedere tecnologie e soprattutto processi innovativi, dice Siemens ma dicono anche altre realtà produttive, è quello che permette di fare la differenza rispetto alla produzione conto terzi in Asia.
«Tra 50 o 100 anni – dice Krüger – sarà ancora diverso, ma adesso la rivoluzione passa dalla fabbrica. L’effetto sull’occupazione non sarà negativo: per avere lavori sicuri bisogna scommettere sull’innovazione e adattarsi al cambiamento. L’innovazione serve ad avere buoni prodotti, chi lavora deve essere pronto a trasformarsi».
La fabbrica del futuro, spiegano Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee nei loro libri visionari spesso citati ma quasi mai letti, sarà radicalmente diversa perché non ci sarà più. Cioè, non sarà più là dove ce l’aspettiamo, all’interno di un grande capannone, in una zona industriale, con un continuo andare e venire di operai. Sarà invece in piccole scatole grandi come un’automobile o una lavatrice, o anche più grandi, messe in un angolo accanto ai condomini o nei grandi mall commerciali. Produrrà a domicilio, realizzerà parti delle macchine, intere macchine, prodotti di vario genere. Montata su quattro gru, la fabbrica del futuro diventerà mobile verticalmente e riuscirà a innalzare grattacieli in modo totalmente automatico, stampandoli uno strato alla volta.
«Immagini – dice Krüger – una scatola grande come questa, portata sulla stazione spaziale internazionale». Indica un apparecchio non più grande di una comune lavatrice, compreso l’oblò centrale, che pesa un quintale. «Qui c’è qualsiasi cosa serva in orbita: un cacciavite o una scheda elettronica, un fusibile o un nuovo obiettivo per il telescopio, Basta versare la sabbia, caricare il software adatto e in poco tempo esce il prodotto finito. Questa è la rivoluzione a domicilio, la fabbrica del futuro».
Siemens già comincia a sognare quando i grandi clienti del settore energy, che comprano turbine a gas miliardarie o impianti per dighe, avranno la loro macchina Siemens per produrre i pezzi di ricambio a domicilio, in cima a una montagna o nel pieno di un deserto. Niente più trasporti eccezionali, tempi morti, attese e problemi. Oppure, negli Usa è Boeing che sogna e conta i giorni per quando a Everett, dove l’azienda aerospaziale americano ha costruito il più grande edificio al mondo per cubatura per assemblare i colossi dell’aria, i jumbo jet, potrà anziché attendere l’arrivo delle parti realizzate dai partner in 43 paesi diversi, stamparseli direttamente in loco. Finirà il carosello che fa arrivare le componenti da tutto il mondo, Italia compresa, e ripartirà un’industria diversa, a forte rischio di delocalizzazione (Airbus ha già aperto un impianto per la finalizzazione degli A320 in Cina). La rivoluzione è a domicilio: basteranno pochi tecnici per azionare i macchinari, veri badanti dell’altissima tecnologia, mentre l’intelligenza – come nella rete – sarà agli estremi.
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