La produzione su scala industriale di farmaci è un fenomeno
relativamente recente. Con l’imporsi della teoria dell’origine microbica
delle malattie, con Louis Pasteur e Robert Kock, nella seconda metà dell’Ottocento, e la comparsa dei primi farmaci relativamente efficaci [come la mitica Aspirina per febbre e dolori, messa in produzione dalla Bayer nel 1899, e il Salvarsan
contro la sifilide, inventato dall'immunologo tedesco Paul Ehrlich ai
primi del Novecento], decolla anche l’industria del farmaco.
E’ la fase eroica della medicina moderna. Finalmente, non solo si
potevano descrivere le malattie, ma anche trovarne una causa in un
agente patogeno e utilizzare una “pallottola magica” che lo sopprimeva.
Il cerchio era chiuso. Il paradigma forte e compatto.
Certo, non per tutte le malattie si poteva risalire a una causa e
poche ancora si potevano curare con le pallottole magiche. Ma era solo
una questione di tempo, di accumulo di conoscenze scientifiche. In
questo quadro, i produttori di pallottole magiche svolgevano un ruolo
centrale.
Ma è solo con la messa in produzione della penicillina,
scoperta da Alexander Fleming nel 1929, iniziata a essere prodotta su
larga scala dal 1941, che l’industria decolla. Nei due decenni
successivi, battezzati dagli storici l’età dei farmaci, c’è una vera e propria esplosione nella scoperta e nella produzione di farmaci, tra cui certamente rilevante è il cortisone, nel 1949.
Negli ultimi decenni, la salute diventa uno dei più floridi e profittevoli settori economici nei Paesi ricchi.
Il motore dell’industria della salute è ovviamente quella del
farmaco. Solo in Europa, queste attività danno lavoro a più di mezzo
milione di persone. Per stare a casa nostra, solo nell’area milanese
operano più di tremila aziende, con oltre cinquantamila addetti e un
giro d’affari che supera i diceci miliardi di euro.
A livello mondiale, il settore conosce una forte concentrazione in
poche mani: un piccolo gruppo di supercolossi, che gli angloamericani
chiamano “Big Pharma“, con fatturati vertiginosi.
Tanto per fare un esempio, la Pfizer da sola detiene più
del 10% del mercato mondiale, con oltre 48 miliardi di dollari. Negli
ultimi anni questa tendenza alla concentrazione monopolistica è talmente
cresciuta, che ha portato il numero delle attuali grandi aziende da trenta a dodici. I margini di profitto diventeranno sempre più elevati.
Si potrebbe quindi obiettare: e allora? … E’ normale che chi
produce, soprattutto in un campo che richiede grandi investimenti per la
ricerca, punti a realizzare profitti.
Dove sta il problema? … Il problema non sta nella
ricerca del profitto, sta nella rete che l’industria ha teso per
garantire la massimizzazione del profitto.
In proposito, di solito si pensa all’informatore farmaceutico che corrompe il medico prescrittore con regali e benefici [la Corte di Cassazione ha sentenziato che si commette non solo "comparaggio" ma vera e propria "corruzione in atti d'ufficio"],
oppure al dirigente d’azienda che mette sul conto svizzero di un
primario la tangente per l’acquisto, da parte dell’ospedale, di kit e
macchinari diagnostici. Certo, tutto questo è documentato ed è anche
stato sentenziato in via definitiva dalla Corte di Cassazione, dal famoso caso Poggiolini e De Lorenzo [ex
Ministro che prese tangenti per rendere obbligatorio il vaccino
anti-epatite B che, in sostanza, è somministrato illegalmente!] in
avanti, e ha sicuramente effetti di distorsione dell’intervento medico,
ma non sembra l’aspetto principale della questione. Infatti, la
corruzione è un fenomeno che si verifica a valle.
A monte c’è la sistematica distorsione della conoscenza. E’ questo l’aspetto più preoccupante e pesante come un macigno.