Mumford l’ha definita “the key machine”. A ragione. Proviamo a pensare cos’era il mondo prima dell’invenzione dell’orologio meccanico. Tre erano i dispositivi noti per la “misura” del tempo: meridiane, clessidre, ed orologi ad acqua. Le meridiane funzionavano solo di giorno, e solo se non era nuvoloso. Naturalmente, davano un’ora differente a seconda della stagione. Le clessidre abbisognavano di qualcuno che le ruotasse continuamente, e, comunque, risentivano di umidità ed altri fattori che ne alteravano grandemente la precisione. Gli orologi ad acqua erano inservibili in climi freddi. Complessi. E perdevano precisione con l’andare del tempo. Dunque, finirono col diventare delle eccentricità e strumenti di potere per corti orientali, come quella cinese.
Ma nell’Europa medievale nacque un nuovo interesse per la misura affidabile del tempo. La Chiesa ne aveva bisogno: erano ben 7 i riti giornalieri da compiere. Uno, il mattinale, in realtà era un rito notturno. Ci voleva una “sveglia” che funzionasse prima dell’alba. Di più. C’erano le “servitù” cittadine da organizzare (e non solo), che richiedevano una corretta misura del tempo.
Si finì per avere la necessità di definire un’ora per la sveglia, una per andare a lavorare, una per l’apertura del mercato e così via. Tutto ciò poteva essere possibile se e solo se si disponeva di una misura del tempo autorevole. Altrimenti, e ci sono una infinità di esempi riportati negli annali, discordie, conflitti, litigi. L’orologio meccanico fu la soluzione.
Ma, si potrebbe dubitarne? Uno dei suoi primi nemici fu la Chiesa stessa, pur bisognosa di uno strumento misuratore del tempo che fosse affidabile. Qual era il problema? La misura del tempo fatta dalla Chiesa era quella cosiddetta “naturale”. Giorno e notte vengono divisi in parti eguali. Ma è del tutto ovvio che, salvo agli equinozi, le ore notturne e quelle diurne finivano per avere una durata diversa.
L’orologio meccanico rendeva “democratiche” le ore: erano tutte eguali. Bene: la Chiesa ci mise più di un secolo ad adeguarsi. Ma la Chiesa non era sola in questo atteggiamento. I Cinesi, pur inventori dell’orologio ad acqua, lo riservarono all’imperatore e ai suoi astrologi. Consideravano il tempo un segreto di stato, da non rivelare ai sudditi. Finì, ovviamente, come era prevedibile: ogni Imperatore cinese aveva il suo proprio calendario, giacché ognuno d’essi diventava proprietario del proprio tempo.
Qual è, in termini moderni, l’importanza dell’orologio meccanico, al di là della sua maggiore precisione e democraticità?
Tanto per incominciare: fu il primo esempio di misura digitale e non analogica di una grandezza “naturale”.
Secondo: fu una palestra di libertà. Invece di un tempo che scendeva dall’alto, elargito con sufficienza dall’Autorità, ciascuno poteva organizzare la propria vita come meglio gli pareva, e coordinarla con il resto dell’umanità. Ordine e controllo nelle mani del popolo minuto: una minaccia per il Potere costituito di quei tempi. Altro che presa della Bastiglia.
Terzo: si poteva finalmente accedere (ci volle del tempo) ad una nozione cruciale: la produttività. Per la prima volta, ciò che veniva prodotto poteva essere rapportato ad una unità di tempo affidabile. Utile solo per il furto del plusvalore? Non soltanto, e non principalmente. Si passa da una situazione di lavoro senza riferimenti (un’attività segue l’altra, fino a che la luce disponibile lo permette), ad una in cui si misura la durata (costante) dello sforzo, e alla durata si collegherà poi la produzione. In termini moderni: si possono calcolare con precisione i costi, e dunque con precisione si può stabilire un prezzo per un oggetto o un servizio. Poco? Non direi: tutti siamo abituati a pensare in termini di costi/benefici. Senza un orologio, si potrebbe farlo?