Poco meno di mille dollari: con questa cifra un team di ricerca è riuscito a raccogliere, per anni, traffico satellitare geostazionario non cifrato . È una cifra bassa — e questo è il punto: la vulnerabilità non risiede in hardware esoterico ma in pratiche di configurazione e in assunzioni sbagliate sull’obscurity del mezzo. Come hanno fatto  Il principio è semplice: molte stazioni geostazionarie trasmettono segnali che coprono vaste porzioni di superficie; un’antenna direzionale, anche piccola, orientata correttamente riesce a ricevere quei segnali. I ricercatori hanno usato un setup economico, software-defined radio  e tool open-source  per decodificare e analizzare flussi IP e VoIP. L’operazione è passiva: non si inviano pacchetti né si interferisce — si ascolta. Perché questo è rilevante? Perché la trasmissione on-air non cifrata rimane leggibile a chiunque abbia l’antenna. Non c’è bisogno di attacchi sofisticati o di accessi privilegiati: basta la linea di vista e il know-how ...
di Giuseppe Caravita | 
A Culham, sedici chilometri a sud di Oxford, il 9 novembre 1991, il grande anello del Jet (Joint european Thorus) si illuminò della sua caratteristica luce violetta. Per 1,8 secondi ne scaturirono 1,7 megawatt termici, prodotti dalla fusione di nuclei di deuterio e trizio a oltre 150 milioni di gradi. Poi, il 31 ottobre 1997, fu la replica in grande: oltre 16 megawatt in una scarica di un secondo e mezzo. E pochi mesi dopo la dimostrazione definitiva: 4 megawatt ottenuti però stabilmente, per oltre 4 secondi, dentro il Tokamak europeo. 
Questi tre eventi, nella loro sostanza scientifica, sono i genitori di Iter, il fratello maggiore, molto simile ma fisicamente doppio del Jet. Una delle maggiori scommesse in corso dell'umanità. Ottenere stabilmente l'energia da fusione entro il 2020 con il Tokamak, una macchina originariamente inventata dai fisici russi negli anni 60, e poi replicata dagli scienziati in tutto il mondo e infine rivelatasi, grazie anche ai risultati del Jet, la pista più sicura per arrivare al grande obbiettivo. «Quello che abbiamo capito, in decenni di ricerca – spiega Enzo Lazzaro, in passato a Culham e ora direttore dell'Istituto di fisica del plasma del Cnr a Milano – è che il criterio per ottenere le condizioni per la fusione nucleare dipende sostanzialmente da due parametri: il campo magnetico necessario per confinare il plasma e la scala, la dimensione del reattore. Il primo parametro però può diventare proibitivamente costoso, oltre certe soglie. La seconda via, aumentare la scala dell'impianto, è la più percorribile ed è oggi nella sostanza quella scelta per Iter, macchina che, dal 2016 in avanti, ci consentirà di capire come innescare la fusione, controllarla, e mantenerla stabile. Il preludio ai veri e propri reattori di produzione energetica».  |