L'Iran, o Repubblica Islamica d’Iran, occupa la parte occidentale di un vasto altipiano che si estende nelle terre comprese tra il Mar Caspio a nord e il Golfo Persico a sud, fino quasi al confine naturale della Valle dell’Indo. È la terra della mitica Persia.
Qui assistiamo al movimento di varie civiltà, che ci hanno lasciato più di quanto noi si possa sospettare sull’attività degli artigiani e degli specialisti antichi, sul pensiero filosofico e politico, sullo sviluppo di una società stratificata e articolata, sui commerci che si spingono lontano: “Concentrazione e dilatazione sono i due pistoni a movimento sincrono del motore della civiltà. La fusione tra l’uomo e le idee produce un aumento di potenziale che si scarica nello spazio circostante, stimolando o distruggendo le comunità vicine. La rapida diffusione del nuovo sistema di produzione raggiunge molto presto l’Iran ed è quindi a partire dalla fine del settimo millennio a.C. che l’altopiano entra nella storia umana, costituendo una delle regioni più avanzate. Allorquando si formerà lo stato achemenide, il paese avrà pertanto già tremila anni di civiltà urbana alle sue spalle” (Tosi M., Iran l’alba della civiltà, Provinciali Spotorno Editori, Novilara 1972, p. 20).
Parlando della storia e della preistoria del suo Paese, l’archeologo iraniano Zabihollah Rahmatian descrive con semplicità e chiarezza chi sono gli Ariani e come si stanziano in Iran nel I millennio a.: “Questi Ariani, che possedevano grande abilità e talento, riuscirono facilmente a stabilirsi sull’altipiano e allacciarono buone relazioni con le popolazioni già inserite, mescolando così e influenzando a loro volta la cultura degli annessi. Quando essi presero diretti contatti con molte popolazioni vicine, come gli Hittiti, i Mannaei, gli Urarti, gli Assiri e i Sumeri, essi poterono raggiungere il meglio della cultura e, con il loro puro e vergine talento creativo, produssero creazioni artistiche e culturali tali da sorprendere le generazioni che seguirono. Essi adoravano gli elementi naturali, come ad esempio il Sole, la Luna, ecc.; cosicché tutta la loro produzione artistica fu considerata niente altro che elemento decorativo su cui poter trasferire i loro più profondi Credi. Infatti, sulle ceramiche si trovano notevoli riferimenti al Sole ed alla Luna. Essi credevano, anche, ad una Vita continuata dopo la Morte; perciò ebbero l’abitudine di accompagnare i corpi dei defunti con l’arredo personale, tra cui erano sempre presenti oggetti di uso quotidiano, come piatti, giare, tegami e piatti pieni di differenti tipi di cibo e bevande” (Rahmatian Z., La cultura ariana nell’altipiano iranico, in Mondo Archeologico, n. 1, Tedeschi Editore, Firenze 1976, pp. 20-21).
Giuseppe Tucci così ci racconta di questa terra: “L’Iran ha fornito, per millenni, un contributo di pensiero e ispirazione d’arte a gran parte del continente euro-asiatico ed è stato mediatore fra diverse culture dell’Oriente e dell’Occidente. L’Impero achemenide congiunse l’Oceano Indiano con il Mediterraneo e raccorciò quasi le distanze immense con strade che solcano la vastità del terreno, per deserti e montagne, ostile ai commerci dell’uomo. Con Ciro riconobbe parità di diritti a tutti i sudditi e con generosità, fino ai suoi tempi insolita, tollerò tutte le religioni che, sotto il dominio di lui, fraternamente si incontrarono. La dottrina zoroastriana che inculcò l’etica scrupolosa, il dualismo fra bene e male che valicò i confini dell’Iran, il mitraismo che dilagò nell’Impero Romano, le idee escatologiche sono i bagliori di un tormento mai sopito. Poi l’Islam dovette anch’esso far molte concessioni alla resistenza d’una tradizione di cultura che è creazione imperitura dell’Iran” (Tucci G., Presentazione, in Tosi M., Iran l’alba della civiltà, Provinciali Spotorno Editori, Novilara 1972, p. 11).
Ariani e vento
turco-mongolo
In Iran sia nomadi sia sedentari perpetuano una civiltà che tocca gli opposti in una terra varia, tra aree costiere, zone montuose e altopiani desertici, ricca di risorse naturali. Miniere di rame e di ferro forniscono le materie prime per gli impulsi allo sviluppo. Susa è capitale dell’Elam nel Khuzistan iraniano, un regno che rimane un punto centrale economico e culturale, con lingua e scrittura propria, tra le alterne vicende e le invasioni di Guti (o Gutei), Lulubi, Hurriti e Cassiti, che si riversano nel territorio nel corso del II millennio a. Si presume che gli antichi Medi arrivino nell’attuale regione attorno agli inizi del I millennio a., ma sull’area di provenienza molti non si espongono. Sono una popolazione di lingua europea che pare raggiunga un’organizzazione statale di stampo monarchico. Nel tempo sono assoggettati e assimilati dai Persiani, i quali danno inizio alla dinastia degli Achemènidi, dove il re Ciro II detto «il Grande» ne è uno dei massimi rappresentanti. Attorno alla metà del VI sec. a. c. Ciro II occupa la Lidia, sottomette le colonie ioniche dell’Asia Minore, si spinge in direzione della valle dell’Indo; uomo di stato di ampie e moderne vedute, lascia ogni etnia libera di professare il proprio culto. Il testo fondamentale della religione zoroastriana è l’Avesta, scritto in avestico, lingua europea della famiglia iranica, prossima al sanscrito vedico.
Successivamente abbiamo gli imperi Sassanide, Arabo e Turco, ma pure la ventata distruttrice portata nel XIII sec. delle armate mongole di Gengis Khan e il successivo regno di Tamerlano. I cosiddetti Mongoli sono di etnia turco-mongola e la storia recente dell’Asia Centrale è determinata da Turchi, Mongoli e Tungusi, che fluttuano tra la Cina che cerca di arginarli con la Grande Muraglia e il fiume Danubio. Mandel fa notare come la linguistica non sia qui d’aiuto: “Non ha testi su cui basarsi, ma collega il proto-mongolo a non poche lingue degli indiani d’America, dipendenti dalla Famiglia altaica cui fan capo anche l’ungherese e una parte del giapponese” (Mandel G., Gengis Khan il conquistatore oceanico, SugarCo Edizioni, Milano 1979, p. 24). Inoltre, sempre Mandel puntualizza: “I primi nomadi sembra che si organizzino - come caratteristica struttura sociale - con il periodo detto di Andronovo (Asia centrale, seconda metà del II millennio a.C.); e sembra che si tratti di popolazioni non mongolidi, forse a preminenza europea” (Ibidem, p. 25).
Le acque sotterranee
Le vaste zone aride dell’Iran sono approvvigionate da ben organizzate reti di canalizzazioni sotterranee, le quali consentono la vita di superficie, oggi come allora: “L’ingegno e lo sforzo congiunti hanno prodotto uno degli elementi caratterizzanti del paesaggio iranico: i qanats. È un sistema di pozzi verticali collegati sulla base da un cunicolo sotterraneo che congiunge il pozzo principale al villaggio. L’acqua scorre al riparo dal sole e dalla siccità della superficie, per distanze spesso superiori ai 30 chilometri. In questo modo è assicurata una costante erogazione che, se avvenisse all’aperto, tenderebbe ad evaporare soprattutto sui lunghi percorsi. L’invenzione tutt’ora operata in Iran per una rete sotterranea di 170.000 miglia, risale con ogni probabilità al I millennio a.C.” (Tosi M., op. cit., p. 28).
In generale l’acquedotto è un sistema che consente di condurre l’acqua dal punto di presa a quello di utilizzo e può captare acqua di sorgente, di lago, di fiume, oppure acqua sotterranea di falda. Fin dall’antichità la captazione della falda superficiale si è realizzata scavando una trincea o una fossa nei terreni che la contenevano, oppure si sono praticati dei pozzi percorribili dal cui fondo si sono spinti, orizzontalmente e dentro la falda, una serie di cunicoli che andavano a versare poi il liquido nel pozzo. L’acqua può essere sollevata meccanicamente dal pozzo e convogliata, oppure dallo stesso pozzo si può scavare, nel sottosuolo e con leggera pendenza, una galleria che la conduca protetta al punto di fruizione. I cinque fattori legati all’attuale approvvigionamento idrico, ovvero il prelievo, il trasporto, il sollevamento, l’immagazzinamento e la distribuzione, erano già stati risolti almeno tremila anni fa. Si hanno quindi pozzi (più raramente discenderie e finestrature) che servono alle seguenti funzioni:
- raggiungere la quota prefissata per la realizzazione del condotto sotterraneo;
- evacuare il materiale scavato e ventilare l’ambiente;
- sollevare il liquido a giorno a lavoro ultimato;
- manutenzionare l’acquedotto.
Ancor’oggi nelle regioni del Turfan cinese (abitato da genti verosimilmente europee o d’origine europea), nella Persia, dal Medio Oriente all’Africa del Nord, abbiamo migliaia di chilometri di acquedotti sotterranei. Molti sono ancora in uso e vengono chiamati con vari nomi a seconda della regione. Gli impianti sfruttano, a seconda dell’orografia e dell’andamento degli acquiferi, sia falde superficiali sia falde profonde. Sul tema si è variamente dissertato e in primo luogo sul cosiddetto qanat: “Il termine qanat indica in arabo le condotte sotterranee. Il termine persiano relativo è ka-riz, usato anche in Belucistan. Il lemma ka altro non è che esito del composto kuh-riz, che significa ‘acqua che scende dal monte’. Strutture analoghe in occidente prendono di volta in volta il nome di foggara (Sahara algerino); falaj (Oman); khettara (Marocco); viajes (Spagna); etc.” (Petruccioli A., Dar al Islam. Architetture del territorio nei paesi islamici, Carucci Editore, Roma 1985, p. 133).
Ecco un utile passo tratto dallo storico Polibio (203-120 a.), che ci aparla delle condotte sotterranee: “Arsace credeva che Antioco sarebbe venuto fino a questi luoghi ma non avrebbe osato, soprattutto a causa della mancanza d’acqua, attraversare con un così numeroso esercito il deserto con essi confinante. In quelle regioni non esiste acqua alla superficie della terra, benché vi siano molti canali sotterranei e pozzi scavati nel deserto, sconosciuti a chi non abbia pratica dei luoghi. Gli indigeni raccontano - ed è una notizia plausibile - che i Persiani, al tempo della loro egemonia sull’Asia, concedettero a chiunque avesse condotto acqua di fonte in località precedentemente non irrigate la facoltà di godere dei frutti del terreno per cinque generazioni. Essendo il Tauro ricco di molte e copiose acque, gli abitanti si sottoposero a ogni spesa e sacrificio per costruire lunghi canali sotterranei, di modo che ai nostri giorni chi usa di queste acque non sa donde sgorghino e siano state condotte” (Polibio, Storie, Schick C. (traduzione e note), Mondadori, Milano 1992, X, 28).
Gli acquedotti ipogei iranici
Per quanto riguarda le opere idrauliche presenti nel territorio iranico così afferma ancora Petruccioli: “Il qanat è una tecnica di origine mineraria molto antica, che consiste nello sfruttamento di falde profonde per mezzo di gallerie drenanti (…). Premesso che il qanat è legato al clima arido e la sua costruzione ha senso, dove le risorse in acqua superficiali siano assai precarie, possiamo dire che la sua esistenza è determinata dalla combinazione di quei fattori idrogeologici e topografici, la cui presenza può determinare un ‘vero paesaggio di qanat’. Il qanat dunque è una tecnica univocamente legata al clima arido; ma questa aridità deve essere compensata dalla esistenza di falde profonde alimentate regolarmente e a sufficienza. Il luogo ideale per lo scavo del pozzo principale, l’unico acquifero, è davanti alle catene dei rilievi, ove le precipitazioni sono massime o lungo i coni di deiezione, alimentati non solo dal ruscellamento sui versanti dominanti, ma anche da bacini drenanti, che pescano all’interno della catena montuosa” (Petruccioli A., op. cit., pp. 102-103).
In linea di massima il pozzo principale (o pozzo-madre) del qanat raggiunge una falda freatica o una falda artesiana. Taluni limitano al termine qanat il solo acquedotto alimentato da un pozzo artesiano, chiamato anche “assassino”. Il motivo è semplice: già scavare manualmente un pozzo non è cosa semplice, soprattutto se si devono raggiungere profondità nell’ordine delle decine di metri; quando poi s’intercetta la falda in pressione la faccenda ovviamente si complica. Altri utilizzano il termine qanat per indicare qualsiasi tipo di acquedotto sotterraneo che si articoli con: un punto di presa, una galleria sotterranea per lo scorrimento dell’acqua, più pozzi dislocati lungo il percorso che connettono la galleria alla superficie.
Considerando globalmente tutte queste opere idrauliche, distribuite in un’area geografica molto ampia, che va dall’attuale Cina al Nord Africa, è evidente che si tratti di acquedotti ipogei, ma allo stato attuale delle conoscenze rimane sovente in dubbio il tipo di captazione adoperato per ogni singola opera. Ma non bisognerà fermarsi a dissertare sul nome adottato o da adottare per definire l’impianto, bensì comprendere il funzionamento dell’impianto stesso. È un dato di fatto che ben poche di queste opere siano state percorse e rilevate nella loro totalità, pertanto possiamo fruire solo di dati assolutamente parziali. In conclusione, ciò che in realtà interessa è capire il sistema di captazione utilizzato negli acquedotti sotterranei per evitare fuorvianti generalizzazioni legate a nomi e ad aree geografiche.
Occorrerà soprattutto preservare questi sistemi sotterranei che non necessitano di energia per condurre l’acqua ai punti di fruizione. Si dovrà quindi capire che sostituire a tali sistemi sotterranei le condotte superficiali in materiale plastico è inutile ancorché dannoso. E ancor più dannoso è costruire ad ogni costo dighe per un differente sfruttamento delle risorse idriche del territorio. Occorre studiare come i nostri predecessori hanno sfruttato consapevolmente le risorse della natura e farne tesoro, perché le opere del passato continuano a parlarci se noi sappiamo ascoltarle per trarne insegnamento nonché beneficio anche dal punto di vista culturale. Il sistema di vita facile, incentrato sul consumo del suolo, sulla cementificazione, sull’indiscriminata cattura delle acque di superficie, non solo determina la perdita dei valori tradizionali, ma innanzitutto inficia la coscienza di chi noi siamo e di chi siamo stati.
In Europa e soprattutto in Italia e in Grecia, Spagna e Francia, abbiamo un rilevante sviluppo di opere cunicolari, destinate al trasporto dell’acqua. Una discreta concentrazione la si riscontra nell’Italia Centrale, laddove si è sviluppata la civiltà etrusca. Occorre osservare come vi sia una certa corrispondenza tra bacini minerari e sviluppo di opere cunicolari, tra l’acquisizione di tecniche minerarie da parte di determinate genti e l’applicazione delle tecniche di abbattimento della roccia per la creazione di percorsi sotterranei, generalmente ad uso di condotta idraulica. La qualcosa meriterebbe degli studi approfonditi, che potrebbero comprovare la nascita o quantomeno lo sviluppo della tecnica mineraria e conseguentemente idraulica proprio nel cuore battente europeo, agli albori della Storia.
Gianluca Padovan
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=8332
Qui assistiamo al movimento di varie civiltà, che ci hanno lasciato più di quanto noi si possa sospettare sull’attività degli artigiani e degli specialisti antichi, sul pensiero filosofico e politico, sullo sviluppo di una società stratificata e articolata, sui commerci che si spingono lontano: “Concentrazione e dilatazione sono i due pistoni a movimento sincrono del motore della civiltà. La fusione tra l’uomo e le idee produce un aumento di potenziale che si scarica nello spazio circostante, stimolando o distruggendo le comunità vicine. La rapida diffusione del nuovo sistema di produzione raggiunge molto presto l’Iran ed è quindi a partire dalla fine del settimo millennio a.C. che l’altopiano entra nella storia umana, costituendo una delle regioni più avanzate. Allorquando si formerà lo stato achemenide, il paese avrà pertanto già tremila anni di civiltà urbana alle sue spalle” (Tosi M., Iran l’alba della civiltà, Provinciali Spotorno Editori, Novilara 1972, p. 20).
Parlando della storia e della preistoria del suo Paese, l’archeologo iraniano Zabihollah Rahmatian descrive con semplicità e chiarezza chi sono gli Ariani e come si stanziano in Iran nel I millennio a.: “Questi Ariani, che possedevano grande abilità e talento, riuscirono facilmente a stabilirsi sull’altipiano e allacciarono buone relazioni con le popolazioni già inserite, mescolando così e influenzando a loro volta la cultura degli annessi. Quando essi presero diretti contatti con molte popolazioni vicine, come gli Hittiti, i Mannaei, gli Urarti, gli Assiri e i Sumeri, essi poterono raggiungere il meglio della cultura e, con il loro puro e vergine talento creativo, produssero creazioni artistiche e culturali tali da sorprendere le generazioni che seguirono. Essi adoravano gli elementi naturali, come ad esempio il Sole, la Luna, ecc.; cosicché tutta la loro produzione artistica fu considerata niente altro che elemento decorativo su cui poter trasferire i loro più profondi Credi. Infatti, sulle ceramiche si trovano notevoli riferimenti al Sole ed alla Luna. Essi credevano, anche, ad una Vita continuata dopo la Morte; perciò ebbero l’abitudine di accompagnare i corpi dei defunti con l’arredo personale, tra cui erano sempre presenti oggetti di uso quotidiano, come piatti, giare, tegami e piatti pieni di differenti tipi di cibo e bevande” (Rahmatian Z., La cultura ariana nell’altipiano iranico, in Mondo Archeologico, n. 1, Tedeschi Editore, Firenze 1976, pp. 20-21).
Giuseppe Tucci così ci racconta di questa terra: “L’Iran ha fornito, per millenni, un contributo di pensiero e ispirazione d’arte a gran parte del continente euro-asiatico ed è stato mediatore fra diverse culture dell’Oriente e dell’Occidente. L’Impero achemenide congiunse l’Oceano Indiano con il Mediterraneo e raccorciò quasi le distanze immense con strade che solcano la vastità del terreno, per deserti e montagne, ostile ai commerci dell’uomo. Con Ciro riconobbe parità di diritti a tutti i sudditi e con generosità, fino ai suoi tempi insolita, tollerò tutte le religioni che, sotto il dominio di lui, fraternamente si incontrarono. La dottrina zoroastriana che inculcò l’etica scrupolosa, il dualismo fra bene e male che valicò i confini dell’Iran, il mitraismo che dilagò nell’Impero Romano, le idee escatologiche sono i bagliori di un tormento mai sopito. Poi l’Islam dovette anch’esso far molte concessioni alla resistenza d’una tradizione di cultura che è creazione imperitura dell’Iran” (Tucci G., Presentazione, in Tosi M., Iran l’alba della civiltà, Provinciali Spotorno Editori, Novilara 1972, p. 11).
Ariani e vento
turco-mongolo
In Iran sia nomadi sia sedentari perpetuano una civiltà che tocca gli opposti in una terra varia, tra aree costiere, zone montuose e altopiani desertici, ricca di risorse naturali. Miniere di rame e di ferro forniscono le materie prime per gli impulsi allo sviluppo. Susa è capitale dell’Elam nel Khuzistan iraniano, un regno che rimane un punto centrale economico e culturale, con lingua e scrittura propria, tra le alterne vicende e le invasioni di Guti (o Gutei), Lulubi, Hurriti e Cassiti, che si riversano nel territorio nel corso del II millennio a. Si presume che gli antichi Medi arrivino nell’attuale regione attorno agli inizi del I millennio a., ma sull’area di provenienza molti non si espongono. Sono una popolazione di lingua europea che pare raggiunga un’organizzazione statale di stampo monarchico. Nel tempo sono assoggettati e assimilati dai Persiani, i quali danno inizio alla dinastia degli Achemènidi, dove il re Ciro II detto «il Grande» ne è uno dei massimi rappresentanti. Attorno alla metà del VI sec. a. c. Ciro II occupa la Lidia, sottomette le colonie ioniche dell’Asia Minore, si spinge in direzione della valle dell’Indo; uomo di stato di ampie e moderne vedute, lascia ogni etnia libera di professare il proprio culto. Il testo fondamentale della religione zoroastriana è l’Avesta, scritto in avestico, lingua europea della famiglia iranica, prossima al sanscrito vedico.
Successivamente abbiamo gli imperi Sassanide, Arabo e Turco, ma pure la ventata distruttrice portata nel XIII sec. delle armate mongole di Gengis Khan e il successivo regno di Tamerlano. I cosiddetti Mongoli sono di etnia turco-mongola e la storia recente dell’Asia Centrale è determinata da Turchi, Mongoli e Tungusi, che fluttuano tra la Cina che cerca di arginarli con la Grande Muraglia e il fiume Danubio. Mandel fa notare come la linguistica non sia qui d’aiuto: “Non ha testi su cui basarsi, ma collega il proto-mongolo a non poche lingue degli indiani d’America, dipendenti dalla Famiglia altaica cui fan capo anche l’ungherese e una parte del giapponese” (Mandel G., Gengis Khan il conquistatore oceanico, SugarCo Edizioni, Milano 1979, p. 24). Inoltre, sempre Mandel puntualizza: “I primi nomadi sembra che si organizzino - come caratteristica struttura sociale - con il periodo detto di Andronovo (Asia centrale, seconda metà del II millennio a.C.); e sembra che si tratti di popolazioni non mongolidi, forse a preminenza europea” (Ibidem, p. 25).
Le acque sotterranee
Le vaste zone aride dell’Iran sono approvvigionate da ben organizzate reti di canalizzazioni sotterranee, le quali consentono la vita di superficie, oggi come allora: “L’ingegno e lo sforzo congiunti hanno prodotto uno degli elementi caratterizzanti del paesaggio iranico: i qanats. È un sistema di pozzi verticali collegati sulla base da un cunicolo sotterraneo che congiunge il pozzo principale al villaggio. L’acqua scorre al riparo dal sole e dalla siccità della superficie, per distanze spesso superiori ai 30 chilometri. In questo modo è assicurata una costante erogazione che, se avvenisse all’aperto, tenderebbe ad evaporare soprattutto sui lunghi percorsi. L’invenzione tutt’ora operata in Iran per una rete sotterranea di 170.000 miglia, risale con ogni probabilità al I millennio a.C.” (Tosi M., op. cit., p. 28).
In generale l’acquedotto è un sistema che consente di condurre l’acqua dal punto di presa a quello di utilizzo e può captare acqua di sorgente, di lago, di fiume, oppure acqua sotterranea di falda. Fin dall’antichità la captazione della falda superficiale si è realizzata scavando una trincea o una fossa nei terreni che la contenevano, oppure si sono praticati dei pozzi percorribili dal cui fondo si sono spinti, orizzontalmente e dentro la falda, una serie di cunicoli che andavano a versare poi il liquido nel pozzo. L’acqua può essere sollevata meccanicamente dal pozzo e convogliata, oppure dallo stesso pozzo si può scavare, nel sottosuolo e con leggera pendenza, una galleria che la conduca protetta al punto di fruizione. I cinque fattori legati all’attuale approvvigionamento idrico, ovvero il prelievo, il trasporto, il sollevamento, l’immagazzinamento e la distribuzione, erano già stati risolti almeno tremila anni fa. Si hanno quindi pozzi (più raramente discenderie e finestrature) che servono alle seguenti funzioni:
- raggiungere la quota prefissata per la realizzazione del condotto sotterraneo;
- evacuare il materiale scavato e ventilare l’ambiente;
- sollevare il liquido a giorno a lavoro ultimato;
- manutenzionare l’acquedotto.
Ancor’oggi nelle regioni del Turfan cinese (abitato da genti verosimilmente europee o d’origine europea), nella Persia, dal Medio Oriente all’Africa del Nord, abbiamo migliaia di chilometri di acquedotti sotterranei. Molti sono ancora in uso e vengono chiamati con vari nomi a seconda della regione. Gli impianti sfruttano, a seconda dell’orografia e dell’andamento degli acquiferi, sia falde superficiali sia falde profonde. Sul tema si è variamente dissertato e in primo luogo sul cosiddetto qanat: “Il termine qanat indica in arabo le condotte sotterranee. Il termine persiano relativo è ka-riz, usato anche in Belucistan. Il lemma ka altro non è che esito del composto kuh-riz, che significa ‘acqua che scende dal monte’. Strutture analoghe in occidente prendono di volta in volta il nome di foggara (Sahara algerino); falaj (Oman); khettara (Marocco); viajes (Spagna); etc.” (Petruccioli A., Dar al Islam. Architetture del territorio nei paesi islamici, Carucci Editore, Roma 1985, p. 133).
Ecco un utile passo tratto dallo storico Polibio (203-120 a.), che ci aparla delle condotte sotterranee: “Arsace credeva che Antioco sarebbe venuto fino a questi luoghi ma non avrebbe osato, soprattutto a causa della mancanza d’acqua, attraversare con un così numeroso esercito il deserto con essi confinante. In quelle regioni non esiste acqua alla superficie della terra, benché vi siano molti canali sotterranei e pozzi scavati nel deserto, sconosciuti a chi non abbia pratica dei luoghi. Gli indigeni raccontano - ed è una notizia plausibile - che i Persiani, al tempo della loro egemonia sull’Asia, concedettero a chiunque avesse condotto acqua di fonte in località precedentemente non irrigate la facoltà di godere dei frutti del terreno per cinque generazioni. Essendo il Tauro ricco di molte e copiose acque, gli abitanti si sottoposero a ogni spesa e sacrificio per costruire lunghi canali sotterranei, di modo che ai nostri giorni chi usa di queste acque non sa donde sgorghino e siano state condotte” (Polibio, Storie, Schick C. (traduzione e note), Mondadori, Milano 1992, X, 28).
Gli acquedotti ipogei iranici
Per quanto riguarda le opere idrauliche presenti nel territorio iranico così afferma ancora Petruccioli: “Il qanat è una tecnica di origine mineraria molto antica, che consiste nello sfruttamento di falde profonde per mezzo di gallerie drenanti (…). Premesso che il qanat è legato al clima arido e la sua costruzione ha senso, dove le risorse in acqua superficiali siano assai precarie, possiamo dire che la sua esistenza è determinata dalla combinazione di quei fattori idrogeologici e topografici, la cui presenza può determinare un ‘vero paesaggio di qanat’. Il qanat dunque è una tecnica univocamente legata al clima arido; ma questa aridità deve essere compensata dalla esistenza di falde profonde alimentate regolarmente e a sufficienza. Il luogo ideale per lo scavo del pozzo principale, l’unico acquifero, è davanti alle catene dei rilievi, ove le precipitazioni sono massime o lungo i coni di deiezione, alimentati non solo dal ruscellamento sui versanti dominanti, ma anche da bacini drenanti, che pescano all’interno della catena montuosa” (Petruccioli A., op. cit., pp. 102-103).
In linea di massima il pozzo principale (o pozzo-madre) del qanat raggiunge una falda freatica o una falda artesiana. Taluni limitano al termine qanat il solo acquedotto alimentato da un pozzo artesiano, chiamato anche “assassino”. Il motivo è semplice: già scavare manualmente un pozzo non è cosa semplice, soprattutto se si devono raggiungere profondità nell’ordine delle decine di metri; quando poi s’intercetta la falda in pressione la faccenda ovviamente si complica. Altri utilizzano il termine qanat per indicare qualsiasi tipo di acquedotto sotterraneo che si articoli con: un punto di presa, una galleria sotterranea per lo scorrimento dell’acqua, più pozzi dislocati lungo il percorso che connettono la galleria alla superficie.
Considerando globalmente tutte queste opere idrauliche, distribuite in un’area geografica molto ampia, che va dall’attuale Cina al Nord Africa, è evidente che si tratti di acquedotti ipogei, ma allo stato attuale delle conoscenze rimane sovente in dubbio il tipo di captazione adoperato per ogni singola opera. Ma non bisognerà fermarsi a dissertare sul nome adottato o da adottare per definire l’impianto, bensì comprendere il funzionamento dell’impianto stesso. È un dato di fatto che ben poche di queste opere siano state percorse e rilevate nella loro totalità, pertanto possiamo fruire solo di dati assolutamente parziali. In conclusione, ciò che in realtà interessa è capire il sistema di captazione utilizzato negli acquedotti sotterranei per evitare fuorvianti generalizzazioni legate a nomi e ad aree geografiche.
Occorrerà soprattutto preservare questi sistemi sotterranei che non necessitano di energia per condurre l’acqua ai punti di fruizione. Si dovrà quindi capire che sostituire a tali sistemi sotterranei le condotte superficiali in materiale plastico è inutile ancorché dannoso. E ancor più dannoso è costruire ad ogni costo dighe per un differente sfruttamento delle risorse idriche del territorio. Occorre studiare come i nostri predecessori hanno sfruttato consapevolmente le risorse della natura e farne tesoro, perché le opere del passato continuano a parlarci se noi sappiamo ascoltarle per trarne insegnamento nonché beneficio anche dal punto di vista culturale. Il sistema di vita facile, incentrato sul consumo del suolo, sulla cementificazione, sull’indiscriminata cattura delle acque di superficie, non solo determina la perdita dei valori tradizionali, ma innanzitutto inficia la coscienza di chi noi siamo e di chi siamo stati.
In Europa e soprattutto in Italia e in Grecia, Spagna e Francia, abbiamo un rilevante sviluppo di opere cunicolari, destinate al trasporto dell’acqua. Una discreta concentrazione la si riscontra nell’Italia Centrale, laddove si è sviluppata la civiltà etrusca. Occorre osservare come vi sia una certa corrispondenza tra bacini minerari e sviluppo di opere cunicolari, tra l’acquisizione di tecniche minerarie da parte di determinate genti e l’applicazione delle tecniche di abbattimento della roccia per la creazione di percorsi sotterranei, generalmente ad uso di condotta idraulica. La qualcosa meriterebbe degli studi approfonditi, che potrebbero comprovare la nascita o quantomeno lo sviluppo della tecnica mineraria e conseguentemente idraulica proprio nel cuore battente europeo, agli albori della Storia.
Gianluca Padovan
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=8332