Attenzione:
questo è un post lunghissimo, una lettera a me stessa, un piccolo
delirio interiore. Ho divagato un casino e tuttavia non ho detto che
una minima parte dei miei pensieri. Siete liberi di ignorare questo
post, di piangere un po’ con me, di ribattere. Solo, non sputatemi
se la sua lettura sarà troppo pallosa. ;-)
Sono
in piedi in macelleria e aspetto il mio turno.
Fuori
c’è un tiepido sole, mentre davanti a me una donna in bilico su
tacchi altissimi ordina un mix di salumi, qualche fettina di
tacchino, un bel tocco tremolante di fegato di vitello e, ma sì,
anche un po’ d’agnello. Già, tra poco è Pasqua.
Alzo gli occhi e vedo la foto di un vitello che beve il latte dalla sua mamma, legato per una caviglia, sotto una tettoia all’aperto.
Alzo gli occhi e vedo la foto di un vitello che beve il latte dalla sua mamma, legato per una caviglia, sotto una tettoia all’aperto.
Mi viene il magone, perché sono in fila per comprare della carne per i miei gatti. Un po’ di trito – Che animale è? Vitello, ti sto facendo uno sconto che è praticamente un regalo– e un petto di pollo.
Guardo le mani del macellaio, sono sporche e rovinate, i suoi coltellacci spezzano ossa, decapitano conigli, sventrano volatili. Uno strofinaccio intriso di sangue sta lì per pulire il tagliere dai residui che vi si accumulano sopra.
Ma i gatti non dovrebbero mangiare topi e uccellini?
Per salvare due gatti dal gattile, sto alimentando il mercato lurido della carne. Sì, ho detto lurido.
Torno a casa, maneggio quel petto di pollo rosa, freddo e molliccio, stacco pezzettini di osso, lo affetto con una faccia tremenda. Se potessi dare solo verdure, ai miei gatti, ah! che gioia sarebbe.
Ma passo oltre. Devo farlo per forza.
Sono
seduta in metropolitana e sto sfogliando il libro Cento
domande sul cibo,
che recita così: in
Italia consumiamo circa 100 chili di carne a testa l’anno. Ci
finiscono tra le mandibole circa 500 milioni di polli, 4 milioni di
bovini, 13 milioni di suini. Le emissioni di gas serra che innescano
i cambiamenti climatici generate dagli allevamenti battono quelle
dell’intero parco auto del pianeta. Per produrre un chilo di carne
bovina si consumano 15 mila litri di acqua e cereali per dieci volte
il peso dell’intero animale; cereali che potrebbero sfamare molte
più persone. […] Un chilo di manzo genera 36,4 chilogrammi di CO2,
l’equivalente delle emissioni di un’auto che fa 250 km. […] La
produzione di carne consuma il 70% delle terre agricole, il 30% della
superficie terrestre.
Per
sfamare, ovviamente, solo una piccola porzione di popolazione.
Alzo
gli occhi dal mio libro e guardo in faccia le persone che viaggiano
con me: gente al cellulare, donne con borse sfarzose, un bambino che
abbraccia la confezione gigante di un giocattolo nuovo.
Le
immagino sedute a tavola mentre sbranano bistecche o costine di
maiale, o davanti alla televisione a lasciarsi sopraffare dalla
pubblicità e dall’orrore. Orrore di tutti i tipi, in particolare
l’orrore generato dalla violenza. Nei documentari ci addoloriamo
per l’antilope cacciata dal leone, per i bambini in africa
ricoperti di mosche che mangiano con le mani del misero riso bianco
da una ciotola. Ci incazziamo per la ragazzina di turno rapita,
seviziata e uccisa, lamentiamo il nostro governo così intriso di
volgarità e incompetenza. E poi?
Poi
penso che quasi nessuno dei carnivori che
conosco ha mai fatto un giro in un mattatoio. Non dico che sarebbero
diventati tutti vegetariani, ma se nessuno di loro ha mai visto un
animale morire, allora è improbabile che abbiano toccato e annusato
una spiaggia inzaccherata di petrolio, o visto sparare a un elefante
per segargli via le zanne, o ancora un malato terminale che muore nel
suo letto d’ospedale, o una madre che urla per riavere la vita del
figlio in cambio della sua.
Sto parlando della sofferenza, in pratica. Quella che in un modo o nell’altro intride il pianeta, e dalla quale possiamo allontanarci.
Sto parlando della sofferenza, in pratica. Quella che in un modo o nell’altro intride il pianeta, e dalla quale possiamo allontanarci.
Arrivo
a casa, e ripenso alla giornata e a tutti gli sgarbi che ho fatto
alla Terra.
Ho fatto colazione al bar, ho preso un gelato al cioccolato, ho
accettato un passaggio in macchina e mille altre minuscole cose, non
troppo gravi. Per il resto, tutto sommato oggi sono stata bravina: ho
spento, come d’abitudine, il computer durante la pausa pranzo, ho
discusso su FriendFeed con alcune mamme riguardo l’uso dei
pannolini lavabili fin dalla nascita, ho riso delle mie scarpe con la
suola lisa (che non saprò come aggiustare né dove gettare quando mi
lasceranno a piedi), ho mangiato la mia schiscetta con Violenza
di legumi,
ho chiacchierato del viaggio mancato in Israele (niente aerei per un
anno), e ora sono seduta davanti a questo computer bevendo vino
sfuso, mentre i mici masticano senza troppo entusiasmo la loro
carnina, e la pentola a pressione cuoce un riso con le fave che bramo
da circa un’ora.
Ma
oggi mi domando, per la prima volta, se tutto questo abbia un senso.
Intendo vivere a impatto 1. Quanto può contare una goccia nel mare,
quando ogni giorno l’orrore insanguina le nostre tavole, le auto
impestano l’aria, i pescatori sfasciano i fondali marini, le
fabbriche intossicano le acque e le persone si uccidono fra loro?
Quando c’è chi lascia le luci accese e chiude male i rubinetti,
pensa di risparmiare comprando cibo di bassa qualità e pieno di
veleni, scegli l’usa e getta per non sporcarsi le mani?
Cosa
può contare una piccola blogger single e senza preoccupazioni che si
diverte a raccontare la sua piccola vita ecologica su misura, in un
mondo in cui spendiamo più per beni superflui che per il cibo, ce la
meniamo se i prodotti biologici sono cari e se non mangiamo carne
rossa sveniamo?
Ma anche: su quante persone si può realmente applicare questo mio stile di vita, quando le preoccupazioni più grandi sono mantenersi il lavoro per nutrire i figli e dar loro un tetto, guarire da cancri e malattie croniche, possedere un’auto per non fare tardi in ufficio o in fabbrica?
O, alla peggio, arrivare vivi a fine giornata.
Lo stile di vita che io propongo è sì un ottimo modo per risparmiare, prima di tutto, e quindi avere denaro sufficiente per medicine, cibo e acqua, affitto e bollette, debiti vari. È, poi, un modo per ritrovare il contatto con la natura e con le cose semplici della vita, ma di fronte all’idea di cambiare noi stessi è come se avessimo paura. Come se la tendenza generale di fronte a un problema ambientale come quello in cui ci ritroviamo (che è strettamente legato alla qualità della vita), fosse solo di abbassare la testa dicendo “lo so, lo so”, ma senza cercare la volontà di cambiare le cose. Come se fosse inutile, come se non avessimo il potere di farlo davvero.
Ma anche: su quante persone si può realmente applicare questo mio stile di vita, quando le preoccupazioni più grandi sono mantenersi il lavoro per nutrire i figli e dar loro un tetto, guarire da cancri e malattie croniche, possedere un’auto per non fare tardi in ufficio o in fabbrica?
O, alla peggio, arrivare vivi a fine giornata.
Lo stile di vita che io propongo è sì un ottimo modo per risparmiare, prima di tutto, e quindi avere denaro sufficiente per medicine, cibo e acqua, affitto e bollette, debiti vari. È, poi, un modo per ritrovare il contatto con la natura e con le cose semplici della vita, ma di fronte all’idea di cambiare noi stessi è come se avessimo paura. Come se la tendenza generale di fronte a un problema ambientale come quello in cui ci ritroviamo (che è strettamente legato alla qualità della vita), fosse solo di abbassare la testa dicendo “lo so, lo so”, ma senza cercare la volontà di cambiare le cose. Come se fosse inutile, come se non avessimo il potere di farlo davvero.
Sarà
vero?
In realtà non ci sentiamo in dovere di fare nulla. Niente ci tocca realmente nel profondo.
Di cosa abbiamo paura? I nostri nonni hanno conosciuto la vera fame nera, e le donne, mentre gli uomini erano in guerra a farsi ammazzare, si sono rimboccate le maniche e hanno mantenuto in piedi l’intero paese. Oggi la maggior parte di noi non saprebbe come cavarsela. Serve davvero una catastrofe come la guerra o uno tsunami per dover rimettere in discussione valori e priorità?
Oggi piango per questa indifferenza, da cui non mi sento affatto esente. Ma la coerenza è dura, lo ammetto, eppure è una scelta così sana!
In realtà non ci sentiamo in dovere di fare nulla. Niente ci tocca realmente nel profondo.
Di cosa abbiamo paura? I nostri nonni hanno conosciuto la vera fame nera, e le donne, mentre gli uomini erano in guerra a farsi ammazzare, si sono rimboccate le maniche e hanno mantenuto in piedi l’intero paese. Oggi la maggior parte di noi non saprebbe come cavarsela. Serve davvero una catastrofe come la guerra o uno tsunami per dover rimettere in discussione valori e priorità?
Oggi piango per questa indifferenza, da cui non mi sento affatto esente. Ma la coerenza è dura, lo ammetto, eppure è una scelta così sana!
Sono
a casa dei miei genitori, e tre loro amici hanno pescato due
boccaloni nel laghetto lì vicino. Questi
pesci lunghi 40cm e con la bocca più grande e profonda che abbia mai
visto, stanno in una bacinella senz’acqua a morire soffocati. Ogni
tanto un tremito gli scuote la coda, ma tra poco finiranno sulla
griglia e tutto sarà finito. È una vista che non posso sopportare.
Mi allontano, per non vedere, imprecando.
Non
mi basterebbe una vita per aggiustare tutte le cose sbagliate che
faccio, a partire dal volgere lo sguardo quando la vista di un pesce
che muore, e a trasmettere quelle giuste a quante più persone aperte
di mente possibile, cose che non solo sono legate alla salute del
pianeta, ma anche alla nostra e dei nostri cari. Non mi basterebbe
una vita per raccogliere, spezzandomi la schiena, tutti i rifiuti
gettati in terra o fuori dai finestrini da chi non pensa, e non si
chiede quale sarà la loro strada una volta lanciati lontano.
Non basterebbe nemmeno per conoscere tutte le persone che invece, come me, pensano che sia giusto cambiare la propria vita per ragioni positive e costruttive, senza pensare soltanto a se stessi, ma anche agli altri e al domani.
Non basterebbe nemmeno per conoscere tutte le persone che invece, come me, pensano che sia giusto cambiare la propria vita per ragioni positive e costruttive, senza pensare soltanto a se stessi, ma anche agli altri e al domani.
Questa
sera perciò piango un po’ mentre mi imbrillo di vino, per questo
senso di impotenza che a volte mi prende, e che mi fa credere che non
ci siano molte speranze per tutti noi che stiamo distruggendo noi
stessi senza accorgercene.
Fortunatamente
però non tutto fa schifo. Migliaia,
milioni di persone agiscono ogni giorno per migliorare la vita
propria e degli altri, persone di cuore, coerenti,
combattive.
GreenPeace, Save the children, WWF, LAV, Emergency, Ed è in questa grande capacità di unione di intenti, ma anche nella forza del singolo, che trovo la forza per andare avanti, aprire la mia mente e vivere meglio, ché dico, non diventerò forse la persona più virtuosa del pianeta (per quell’aggettivo ci sono ben altri personaggi), ma sicuramente conoscerò e imparerò più che in tutta la mia vita, da persone e realtà che non credevo esistessero, e mi impegnerò sempre nel mio piccolo per un mondo migliore, che è più facile e divertente da ottenere, che un mondo peggiore di quanto già non sia.
GreenPeace, Save the children, WWF, LAV, Emergency, Ed è in questa grande capacità di unione di intenti, ma anche nella forza del singolo, che trovo la forza per andare avanti, aprire la mia mente e vivere meglio, ché dico, non diventerò forse la persona più virtuosa del pianeta (per quell’aggettivo ci sono ben altri personaggi), ma sicuramente conoscerò e imparerò più che in tutta la mia vita, da persone e realtà che non credevo esistessero, e mi impegnerò sempre nel mio piccolo per un mondo migliore, che è più facile e divertente da ottenere, che un mondo peggiore di quanto già non sia.