NEW YORK – Per Thomas Jefferson, uno dei padri fondatori della nazione, le grandi città erano da considerarsi “pestilenziali per la morale, la salute e le libertà dell’uomo.” Da John Muir, ispiratore del moderno movimento ambientalista a Sierra Club, gli ecologisti hanno demonizzato le grandi metropoli, responsabili secondo loro di tutti i mali del pianeta, in nome di un sano e responsabile ritorno al mondo più pulito e bucolico delle campagne.
Ma un nuovo libro appena uscito in America capovolge del tutto questa testi, sostenendo che New York – ma anche altre grandi città non auto-dipendenti come Hong Kong, San Francisco e Singapore - è un modello ambientalista perché inquina assai meno dei suoi corrispettivi agresti. In Green Metropolis: Why Living Smaller, Living Closer, and Driving Less Are the Keys to Sustainability (Riverhead Books) l’autore David Owen, esperto di ecologia del prestigioso settimanale The New Yorker, prende in esame numerose comunità da una costa all’altra degli Stati Uniti, prima di sostenere che “la palma d’oro in efficienza ambientalista spetta alla Grande Mela”.
“L'affollatissima Manhattan è intrinsecamente più verde delle comunità a bassa densità di popolazione”, teorizza Owen, “perché la maggior parte dei suoi abitanti camminano, vanno in bicicletta e usano i mezzi di trasporto pubblico invece delle 4x4 ultra inquinanti”. Non solo.
“I newyorchesi condividono le infrastrutture e i servizi in maniera ben più efficiente”, incalza Owen, “vivono in case più piccole e quindi usano meno energia per riscaldarle e raffreddarle”. E mentre gli abitanti di periferia e campagna tendono ad accumulare mostruosi elettrodomestici e gadget divora - benzina (dai tagliaerba agli spalaneve) tutto ciò non serve al popolo della cosiddetta “metropoli verde”.
Cifre alla mano, Owen dimostra come il consumo pro-capite di elettricità è più che dimezzato tra i newyorchesi, ciascuno dei quali genera meno del 30% della media nazionale di gas serra inquinanti. Ma il dato forse più sorprendente riguarda il consumo di benzina che nella Big Apple è fermo alla media nazionale del 1920, quando l’auto più diffusa degli States era la Ford Model T (visto che avere una macchina a Manhattan costa troppo, pochissimi oggi possono permettersela).
Il libro ha scatenato non poche polemiche anche perché l’autore – che nel 1984 ha lasciato New York per fuggire con moglie e figlio in un sobborgo del Connecticut – sembra ignorare il recente studio effettuato dall’EPA, il ministero dell’ambiente americano, secondo cui i cittadini newyorchesi sono molto più a rischio di ammalarsi di cancro rispetto agli abitanti degli altri stati dell’Unione, proprio a causa dell’elevato tasso di inquinamento nei cieli sopra New York.
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