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martedì 10 gennaio 2012

IL TEMPO DELLE PERE


Chi non ricorda lo strepitoso successo cinematografico di inizio anni ottanta, Il tempo delle mele, che ha lanciato nell'olimpo del grande schermo la allora attrice francese sconosciuta, Sophie Marceau. Da allora con il termine il tempo delle mele si suole indicare l'età dell'adolescenza ovvero un periodo temporale durante la crescita di un ragazzino in cui inizia a maturare per diventare, si spera, un uomo a seguito di esperienze che lo devono preparare alla vita, come le prime attrazioni sessuali, i primi sentimenti d'affetto e i primi turbamenti e disagi sociali. Al tempo delle mele, se me lo consentite, si deve contrapporre il tempo delle pere ovvero un periodo della vita di un uomo in cui grazie al ricorso a sostanze allucinogene si ha la possibilità di evadere dalla vita reale e proiettarsi in un mondo proprio fatto di sensazioni, astrazioni e pensieri, che purtroppo esistono solo nella propria mente.

Visto quello che sta accadendo al panorama bancario italiano, e non solo, direi proprio che milioni di persone stanno vivendo il loro tempo delle pere. Sono inondato di richieste in posta elettronica di lettori e sostenitori che mi chiedono cosa devono fare con l'aumento di capitale di Unicredit, o se la loro banca in cui sono appoggiati rischia il default, o perchè la loro azienda si è vista ridimensionare in poco tempo il fido precedentemente accordato e così via discorrendo. Cerchiamo di fare assieme alcune riflessioni: Unicredit, la più grande banca italiana per capitalizzazione di borsa (almeno fino ad agosto 2011) è passata dai 70 euro di metà 2007 ai 2,5 euro di inizio 2012, significa una perdita di capitalizzazione di oltre il 95% (significa che se aveste investito 10.000 euro in azioni Unicredit oggi vi trovereste con meno di 500 Euro: ognuno faccia le relative considerazioni). Ma non è un caso unico, la stessa sorte, ma con proporzioni diverse, ma sempre sostenute, è accaduta anche a Banca MPS (da 3,5 a 0,25 Euro), Banca Intesa (da 6 a 1,15 Euro), Banco Popolare (da 16 a 0,90 Euro) e Ubibanca (da 21 a 2,8 Euro).

La borsa per quanto possa essere denigradata come il tempio della speculazione, in realtà rappresenta un efficiente termometro del sentiment economico, non solo riferito agli umori degli operatori che trattano i relativi titoli quotati, ma soprattutto per le aspettative che questi ultimi hanno su determinate aziende, settori o comparti economici. Pertanto il mercato al momento sta “prezzando” il valore che si considera debbano avere le banche che operano sul mercato del prestito, le quali di contrasto negli anni precedenti hanno realizzato utili mirabolanti pompando al rialzo le relative quotazioni. Le imprese bancarie, non solo in Italia, oggi stanno vivendo il loro peggior periodo in termini assoluti in quanto stanno subendo un generale e progressivo processo di deterioramento della qualità del credito precedentemente erogato. In altri termini prestiti concessi in passato a clienti considerati solvibili oggi si stanno trasformando in un incubo a causa dello scenario economico di metamorfosi di tutta l'economia occidentale.

A questo aggiungiamo anche i fenomeni di downgrade che stanno caratterizzando i governativi (titoli di stato) i quali si riflettono attraverso le fluttuazioni delle quotazioni sulla consistenza delle attività bancarie. Vi è di più, stavamo dimenticando l'EBA e Basilea 2 che impongono saggiamente il raggiungimento ed il mantenimento di un determinato coefficente di solvibilità per garantire la solidità del sistema nella sua generalità. Questo rapporto oggi è definito al 8% ovvero per ogni 100.000 euro di impieghi ogni banca deve avere un capitale proprio di almeno 8.000 euro. Oggi è la matematica la causa della serrata bancaria che sta caratterizzando il mercato del credito. Infatti avendo difficoltà a raccogliere nuovo capitale di rischio sul mercato, visto quanto abbiamo esposto prima, con il fine di aumentare il numeratore di questo quoziente, la strada più rapida diventa allora la diminuzione del denominatore e quindi il ridimensionamento degli attivi ponderati per gradi di rischio.

A riguardo è proprio su questo fronte che sta spopolando oggi il tempo delle pere, infatti in Italia vi sono centinaia di banche che non sono quotate in borsa (come banche popolari, crediti cooperativi e casse rurali) che si attribuiscono autonomamente un valore di “mercato”. Attenzione quindi, perchè quanto sopra esposto potrebbe trasformarsi in una bolla destinata a farsi sentire molto presto, a fronte di discutibilimetodi di autovalutazione e autovalorizzazione: come è possibile ad esempio che banche quotate sui mercati in quattro anni perdano oltre il 90% di capitalizzazione mentre banche non quotate abbiano visto le loro “valorizzazioni personali” costantemente salire nonostante i vari momenti di turbolenza finanziaria che hanno caratterizzato questi ultimi anni. Per quanto possa essere odiato o venerato, ricordate che il mercato ha sempre ragione: è solo una questione di tempo.