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EtherHiding e il malware decentralizzato nella blockchain

  La frontiera del malware si sta spostando. Con EtherHiding , gli attacchi informatici abbandonano i server tradizionali e si annidano dentro la blockchain stessa , sfruttando i suoi meccanismi di decentralizzazione per creare un hosting impossibile da rimuovere . Il fenomeno è stato osservato per la prima volta nel 2023 con la campagna CLEARFAKE , e successivamente adottato dal gruppo nordcoreano UNC5342 , noto per le sue operazioni di spionaggio e furto di criptovalute. Smart contract come rifugio del malware EtherHiding utilizza in modo ingegnoso gli smart contract , programmi eseguiti automaticamente su blockchain pubbliche come Ethereum o BNB Smart Chain . All’interno di questi contratti viene incorporato codice malevolo , spesso JavaScript, che può essere aggiornato o sostituito in qualsiasi momento. In questo modo la blockchain diventa un server C2 decentralizzato , immune a blocchi o sequestri: non esiste un “server centrale” da abbattere. Il risultato è un’infrastru...

Le operazioni in Bitcoin non tassabili come le banconote

LA risoluzione 72/E del 2016 – che ha esaminato alcune problematiche tributarie inerenti il bitcoin (la più nota fra le oltre 500 “valute virtuali” conosciute) – sancisce, in generale, che «le operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta non generano redditi imponibili mancando la finalità speculativa». L’affermazione (corretta) deve essere letta nel contesto della risposta. L’Agenzia, in primo luogo, aderisce all’impostazione secondo cui le valute virtuali sono comunque “valute”, approccio, peraltro, coerente con la sentenza della Corte di giustizia C-264/14 che le assimila alle divise, banconote e monete con valore liberatorio in generale.

Inoltre l’Agenzia mette in evidenza come le valute virtuali sono liberamente accessibili e trasferibili dal titolare, in possesso delle necessarie credenziali, in qualsiasi momento, «senza bisogno dell’intervento di terzi», il che fa ritenere che sia condivisa l’opinione dell’European banking authority che le valute virtuali corrispondano alle banconote e alle monete usate nei sistemi di pagamento tradizionali. Tanto è vero che la risoluzione 72/E/2016 assimila le società che svolgono professionalmente l’attivià di acquisto e vendita di monete virtuali per conto della propria clientela ai “cambiavalute”.

Fatta questa premessa, si deve considere l’articolo 67 del Testo unico; in particolare il comma 1, lettera c-ter) e il comma 1-quater. La lettera c-ter) annovera fra i «redditi diversi di natura finanziaria» le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di valute estere, quando sono oggetto di cessione a termine o sono rivenienti da depositi o conti correnti, e assimila i prelievi da depositi e conti correnti alle cessioni a titolo oneroso. Il comma 1-quater introduce un limite alla rilevanza fiscale delle cessioni di valute estere. La tassazione opera solo se, nel periodo d’imposta, la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento sia superiore a 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi continui.


La scelta del legislatore è bene motivata nella circolare 165/E del 1998, paragrafo 2.2.3 in cui si precisa che esso ha inteso assoggettare a imposizione solo le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso delle valute di cui sia stata acquisita e mantenuta la disponibilità per fini di mero investimento e che date le difficoltà di un’indagine caso per caso sulle intenzioni del detentore – ha stabilito che tale finalità deve ritenersi esistente per presunzione assoluta di legge in due diverse ipotesi e cioè nelle ipotesi in cui la valuta sia stata ceduta a termine ovvero immessa su depositi o conti correnti.

In pratica, mentre il prelievo di banconote o monete estere da un conto corrente o deposito rileva fiscalmente (quando sono superate le soglie di cui al comma 1-quater), il successivo utilizzo come mezzo di pagamento o la successiva conversione in euro o altra valuta, virtuale o convenzionale non costituisce presupposto imponibile.

La risoluzione 72/E è importante in quanto la sua portata travalica il caso specifico dei bitcoin, e costituisce conferma di una prassi consolidata anche per le banconote e monete tradizionali.

È applicabile anche alla cosiddetta “moneta elettronica” (emessa da istituti autorizzati e soggetti a vigilanza, Imel) considerato che la “moneta elettronica” ha natura – come si legge nel terzo considerando della direttiva 46/2000/Ce – di un “surrogato elettronico di monete metalliche e banconote” e che i fondi ricevuti dagli Imel a fronte della sua emissione non costituiscono depositi (articolo 2, comma 3 della direttiva citata; gli Imel non effettuano raccolta di risparmio). Una conseguenza di questa ricostruzione è che se una banca italiana riceverà dal cliente un ordine di bonifico verso un conto corrente estero per l’acquisto di moneta virtuale applicherà, come di consueto, le norme sul monitoraggio fiscale dei trasferimenti da e verso l’estero, mentre se l’ordine sarà indirizzato a un conto italiano dovrà ulteriormente distinguere: se il conto addebitato è in valuta estera, dovrà compilare il quadro SO del 770, codice G o K, in presenza degli ulteriori presupposti; altrimenti non effettuerà alcuna specifica comunicazione.

L’acquisto di valuta virtuale contro valute estere (per esempio dollari) provenienti da conti correnti equivale infatti al prelievo della valuta estera (i dollari) dal conto che potrebbe generare reddito imponibile – da dichiarare a cura del contribuente nel quadro RT dell’Unico – ove siano verificati i presupposti quantitativi di cui all’articolo 67, comma 1-quater.

http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2016-09-06/le-operazioni-bitcoin-non-tassabili-come--banconote--215301.shtml?uuid=ADjn9vFB