Applicazioni
La tecnologia THOR si trova ad un grado di sviluppo di livello dimostrativo. Il primo impianto prototipale, basato su un mulino ad attrito, denominato THOR-I è stato testato nel 2003 presso il centro di ricerca CNR di Montelibretti (RM). Nel 2007 è stato realizzato un secondo prototipo impiegante un mulino planetario, denominato THOR II. Su tale impianto sono state condotte una serie di prove sperimentali nel corso del 2008 presso il sito di Capo d’Orlando (ME) della società Arcobaleno Srl. Si è inoltre a conoscenza di un’esperienza a carattere più limitato riguardante il trattamento di scarti del centro commerciale “Etna Polis SpA” di Catania, nel corso della quale è stata impiegata un’apparecchiatura da 1 t/g e 90 kW di potenza installata. Nel corso dello svolgimento dell’indagine sugli impianti TMB si è venuti a conoscenza di un’applicazione del sistema THOR presso l’impianto di Sommariva del Bosco (CN) e di un interesse al suo impiego mostrato dalla società che gestisce l’impianto di Castelforte (LT), che lo ha di recente acquistato. Nel primo caso si tratta di una sperimentazione condotta in collaborazione con il gruppo Buzzi UNICEM SpA, potenzialmente interessato allo sfruttamento del CDR nei cementifici di propria gestione. Il THOR è stato installato su una linea da 4 t/h a valle della tritovagliatura primaria.
La tecnologia THOR è stata messa a punto dall’Istituto di Studi sui Materiali Nanostrutturali (ISMN) del CNR, in collaborazione con la società di ingegneria Assing SpA. L’idea originaria prende spunto dalle tecniche di raffinazione sviluppate dall’industria mineraria, in questo caso finalizzate al recupero delle frazioni valorizzabili e alla contestuale separazione di eventuali composti contaminanti. Si tratta in pratica di un sistema per la produzione di un CDR (Combustibile da rifiuti) di buona qualità a partire da RUR (Rifiuti Urbani Residui) e/o da alcune tipologie di rifiuti speciali (scarti di lavorazione dell’industria del legno, imballaggi di plastica ecc.), nella prima parte del tutto simile a quelli di tipo tradizionale, nel quale viene inserito uno stadio finale di “micronizzazione” del materiale, che realizza l’innesco di reazioni di tipo meccano-chimico.
Il prodotto finale è un materiale pulverulento con elevato potere calorifico, bassa umidità e ridotto contenuto di sostanze contaminanti. In funzione dei rifiuti trattati in ingresso, il prodotto può anche arrivare a soddisfare i requisiti di un CDR-Q.
Circa la sua effettiva applicabilità sul piano industriale occorre quanto meno attendere i risultati delle esperienze che sono state condotte e si stanno conducendo a livello di impianto pilota, dapprima a Capo d’Orlando (ME) e successivamente a Sommariva del Bosco (CN).
La tecnica della meccano-chimica è impiegata industrialmente soprattutto nel settore della produzione di leghe metalliche pregiate. La sua applicabilità al trattamento dei rifiuti non appare scontata poiché, al di là di problematiche tecniche non escludibili aprioristicamente, sono ancora da valutare gli aspetti relativi alla fattibilità economica ed ambientale di questo tipo di trattamento. Non essendo stato possibile disporre di ulteriore documentazione tecnica, si può solo affermare che la tecnologia in questione risulta caratterizzata da consumi energetici piuttosto elevati in grado di inficiarne la sua fattibilità tecnico-economica. Tali consumi sono legati alla fase di pretrattamento (concettualmente del tutto simile ad un impianto di produzione di CDR), all’ultramacinazione (per la quale viene dichiarata una richiesta di circa 50 kWh/t), alla fase finale di pellettizzazione (a nostro parere imprescindibile in quanto la granulometria ultrafine del materiale ottenuto lascia presupporre difficoltà di manipolazione e trasporto, tenuto conto anche dei rischi legati alla sua infiammabilità), nonché al trattamento dei sovvalli. Riguardo a questo ultimo aspetto occorre ricordare infatti che l’ultramulino richiede una preventiva selezione spinta, potendo accettare in ingresso una pezzatura di circa 20 mm.
Un’ulteriore aspetto da valutare riguarda infine l’adozione di adeguati sistemi di contenimento delle emissioni di polveri ultrafini che potrebbero originarsi proprio da perdite accidentali di prodotto.
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