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martedì 22 febbraio 2011

LA LIBIA E NOI


l prezzo del petrolio ha raggiunto ieri a Londra il valore più alto da settembre 2008. La fibrillazione dei mercati energetici, e di conseguenza dei metalli preziosi e delle materie prime, nasce dai disordini e dalle rivolte popolari che dalle coste del Mediterraneo si vanno allargando al Medio Oriente e al Golfo Persico. Ma sono soprattutto i recenti sviluppi libici a fare scorrere brividi gelidi lungo la schiena dei governanti dei paesi occidentali, dei dirigenti di molte loro imprese e degli operatori, finanziari e non, dei mercati energetici. Vale in particolare per l'Italia.
Il prezzo del petrolio ha raggiunto ieri a Londra durante le contrattazioni i 105.1 dollari a barile con un balzo di 2,6 dollari rispetto al giorno precedente. Si tratta del livello più alto del prezzo del Brent dal 25 settembre 2008. Contestualmente l’oro, classico bene rifugio, è salito a 1.400,40 dollari l’oncia al livello più elevato delle ultime sette settimane, mentre argento e palladio sono al loro picco rispettivamente da trentuno e dieci anni.

PROBLEMI PER L’ITALIA

Ma è l’Italia a trovarsi nella situazione più critica nei confronti della Libia, per tre motivi. Il primo è che il nostro paese, e il suo governo, è il più “colluso” con il regime di Gheddafi. Senza entrare in considerazioni strettamente politiche, la propagandata amicizia con il colonnello fa sì che i rischi di ritorsione da parte degli insorti nell’eventualità che questi prevalgano sono maggiori. Anche gli attestati di supporto alle legittime rivendicazioni popolari e all’instaurazione di un regime democratico non beneficerebbero di grande credibilità. Tutto questo pone a rischio le relazioni politico-diplomatiche tra i due paesi, la condizione dei nostri concittadini presenti nel paese, le sorti delle nostre imprese e dei loro ingenti investimenti, la gestione dei prevedibili flussi migratori clandestini. Il secondo motivo è strettamente collegato al precedente, e riguarda gli interessi economici che intercorrono tra Libia e Italia. La Libia è il primo azionista di Unicredit con il 7,50 per cento del capitale, possiede l’1 per cento di Eni e il 2 per cento di Finmeccanica. Attive in Libia sono alcune nostre grandi imprese, come Eni, Anas, Impregilo, Finmeccanica, Iveco. Nel complesso, l’Italia rappresenta il primo partner commerciale della Libia. La quota italiana delle importazioni libiche si è attestata nel 2009 al 17,4 per cento, nel primo semestre del 2010 le nostre esportazioni verso quel paese sono cresciute del 4 per cento. L'interscambio tra i due paesi nel primo semestre 2010 è arrivato a circa 6,8 miliardi di euro, con un incremento del 12,53 per cento rispetto all’anno precedente. Il terzo motivo per cui l’Italia si trova in maggiore difficoltà con la crisi libica è proprio quello energetico. La Libia si colloca infatti rispettivamente al primo e al terzo posto tra i nostri fornitori di petrolio e gas naturale, l’Italia è il primo acquirente del greggio libico e gli idrocarburi rappresentano circa il 99 per cento delle importazioni italiane dalla Libia.
È per tali motivi che in questo momento la cautela è d’obbligo e il fiato sospeso una condizione inevitabile.