Per anni Uniswap ha fatto una scelta precisa: crescere senza estrarre valore dal protocollo.
Una decisione ideologica, prima ancora che tecnica. Funzionale alla diffusione, meno alla sostenibilità.
La proposta UNIfication segna il punto in cui questa impostazione viene superata.
Non perché non abbia funzionato, ma perché ha esaurito il suo ruolo storico.
Quello che viene messo ai voti non è semplicemente l’attivazione delle protocol fees.
È una ridefinizione del rapporto tra utilizzo del protocollo, governance e valore del token.
Dal volume al valore
Il protocollo Uniswap ha processato oltre 4 trilioni di dollari di volume.
Un dato spesso citato, raramente interrogato.
Quel volume non ha mai prodotto un flusso economico diretto per il token UNI.
Non per un limite tecnico, ma per una scelta deliberata.
UNIfication introduce un meccanismo minimale e difficilmente aggirabile:
le fee di protocollo vengono attivate e convogliate in un sistema che non redistribuisce, ma riduce offerta.
Il valore non viene promesso.
Viene reso possibile, a condizione che il protocollo continui a essere usato.
Come funzionano le fee, senza mitologia
Su Uniswap v2 il modello è binario.
Le fee LP scendono dallo 0,30% allo 0,25%. Lo 0,05% diventa protocol fee. Nessuna granularità.
Su v3, invece, la governance può intervenire pool per pool, modulando l’impatto in base alla liquidità e al contesto.
È qui che il discorso diventa operativo: le fee non sono uno “switch ideologico”, ma uno strumento regolabile.
La proposta riduce anche l’attrito decisionale, saltando il processo RFC per gli aggiustamenti futuri.
Meno governance cerimoniale. Più capacità di adattamento.
Il burn come infrastruttura, non come evento
L’elemento più frainteso della proposta è il burn.
Non quello retroattivo, ma quello strutturale.
Il burn dei 100 milioni di UNI dal treasury è un atto simbolico, utile a riallineare il racconto.
Ma il vero cambiamento è l’architettura onchain: tutte le fee confluiscono in contratti che possono essere svuotati solo bruciando UNI.
Non ci sono alternative.
Non ci sono redistribuzioni future da votare.
Il meccanismo è chiuso.
MEV: da esternalità a risorsa
Il Protocol Fee Discount Auction (PFDA) è probabilmente la parte più sottovalutata della proposta.
Uniswap non prova a eliminare il MEV.
Lo internalizza.
Chi vuole ottenere uno sconto temporaneo sulle protocol fees partecipa a un’asta.
Il pagamento va al burn di UNI.
Il MEV che prima finiva a searcher e validator viene in parte assorbito dal protocollo stesso.
È un passaggio concettuale importante: Uniswap smette di subire dinamiche esterne e inizia a incorporarle nel proprio modello economico.
Uniswap non è più solo un AMM
Con v4 e gli hook, Uniswap diventa una piattaforma componibile.
Gli aggregator hooks permettono di instradare liquidità esterna, applicare fee e continuare a bruciare UNI anche su volumi non nativi.
Il protocollo si sposta verso il livello infrastrutturale.
Meno prodotto, più standard.
Labs e governance: un allineamento raro
L’unificazione operativa tra Uniswap Labs e Foundation chiude un’ambiguità storica.
Labs rinuncia alle fee su interfaccia, wallet e API.
La crescita del protocollo diventa l’unica metrica rilevante.
Il budget esiste, è esplicito, ed è vincolato contrattualmente.
Non è decentralizzazione pura. È qualcosa di più raro: allineamento verificabile.
Conclusione
UNIfication non promette rendimenti.
Introduce coerenza.
Uniswap passa da protocollo neutrale a infrastruttura economicamente autoconsistente, senza trasformare UNI in un titolo di rendita.
La domanda, ora, non è se il modello sia corretto.
È se il resto della DeFi sia pronto a fare lo stesso passo.
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