Un bambino “scarso” a pallone. Una madre che decide di fargli interrompere l’attività. E un allenatore che le scrive per convincerla a non mollare. Inutilmente, perché il bambino non è tornato a giocare. Resta una lezione di sport e di vita a tutta l’Italia. E’ successo a Bettona, un paesino di 4mila anime in provincia di Perugia, nel cuore dell’Umbria. A fine dicembre la madre di un bambino che milita nelle giovanili della squadra locale, la Real Virtus (girone B del campionato di Promozione), comunica all’allenatore che il bimbo, alla ripresa degli allenamenti, non si presenterà al campo. Gioca poco, non è troppo portato, non ne vale la pena. Andrea Checcarelli, il mister, è triste. Torna a casa e le scrive un messaggio su Facebook per cercare di farle cambiare idea. Dovevano essere poche righe, private. Poi, sull’emozione del momento, diventa una vera e propria lettera.
“Salve signora! Per me che ho allenato un anno suo figlio, sapere che è sua intenzione quella di interrompere l’attività è un piccolo-grande fallimento da allenatore. Un fallimento non solo come tecnico, ma anche come persona. Non essere riuscito a coinvolgerlo a pieno, a stimolarlo, ad integrarlo al meglio all’interno della squadra, a fargli migliorare quei limiti quel tanto che sarebbe bastato, a farlo considerare “più bravo” da se stesso, ma anche da sua madre..”. “Un messaggio personale, scritto impulsivamente”. Alla madre del bambino, infatti, il mister teneva a far sapere soprattutto una cosa. “Volevo dirle – scrive – che suo figlio non sarà stato il migliore fisicamente, tecnicamente, tatticamente….. ma eccelleva, era il più bravo, per la sua attenzione, per l’applicazione delle direttive dategli. Per il rispetto che ha sempre dimostrato nei miei confronti, durante gli allenamenti ed alle partite. In questo era il migliore. E’ sicuramente il migliore, basta farlo continuare a giocare, se è quello che lui vuole”.
Il mister in quel bambino un po’ rivede anche se stesso quando era giovane. “Glielo dice uno – prosegue – che un tempo non aveva spazio a Passaggio di Bettona, nella squadra dei suoi amici. A 14 anni stavo per smettere, andai a giocare in un altro ambiente e trovai il modo di esprimere al meglio quello che avevo dentro. Di migliorare, di vincere tante partite, tante quante ne avevo perse quando, oltretutto, non venivo considerato. A Passaggio ci sono tornato a 20 anni, perché mi hanno cercato loro. E ho giocato e vinto tanto, persino un campionato, prima di infortunarmi e di smettere di giocare, una delle poche cose che cambierei del mio passato”. Sperava che anche il bambino potesse seguire lo stesso percorso. “Perché nel calcio sono riuscito a dimostrare a me stesso che con la passione ed il lavoro si possono ottenere grandi soddisfazioni personali, senza sotterfugi di sorta, in maniera pulita. Solo facendosi ‘un culo così’, insomma”. E perché il bambino “è contento di giocare anche solo 5 minuti. Si impegna, col sorriso. Fa un po’ da contraltare rispetto a chi, dotato tecnicamente, gode della fiducia del mister non meritandosela”. “Non so se c’era quando fece gol”, prosegue la lettera. “Io mi ricordo bene. E’ stato molto bello, vederlo esultare. Una scena quasi da film… chi l’avrebbe mai detto? Forse neanch’io… però il calcio è anche questo. Se ha avuto quella piccola gioia se l’è sudata tutta, suo figlio. Per questo è più bella! Non lo privi di quei 5 minuti se per lui sono importanti”.
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