Simone, 15 anni: “Ma è come a Monopoli: se sei senza soldi devi
vendere case e terreni; però poi se non hai più un patrimonio non
incassi e ti indebiti sempre di più finché non fallisci“.
Questo il commento, non sollecitato, alla notizia che il governo
Monti ha deciso di vendere le proprietà dello stato per rifinanziarsi.
Con tutte le ovvie semplificazioni, un ragazzo senza competenze
specifiche capisce che se per ottenere liquidità vendi il tuo
patrimonio, inneschi un circolo vizioso dal quale si esce in un modo
solo: falliti.
Eppure sono tutti lì, sindacati in testa,
ad applaudire il governo che, a detta loro, finalmente si è deciso a
fare qualcosa di giusto. Anzi, secondo lor signori avrebbe dovuto farlo
prima, ma a questo Monti ha risposto in maniera insolitamente chiara:
non lo ha fatto prima “perché avrebbe trasmesso un messaggio sbagliato ai mercati”.
In effetti fino a qualche mese fa chi avesse voluto comprare un
immobile si sarebbe potuto preoccupare delle tasse; oggi invece, grazie
all’esenzione dall’IMU per fondazioni bancarie, immobiliaristi, soggetti
poco-profit e altri, sarà tutto più semplice. Ora le garanzie sono
state date per cui si può procedere.
Già, ma chi lo compra il patrimonio immobiliare pubblico?
Lo compra chi ha liquidità, cioè i soggetti di cui sopra e la
criminalità organizzata (evitando di fare le pulci per cercare il
confine); ma soprattutto lo comprano gli stranieri, dando così il via, dopo aver fissato i criteri per la svendita dei terreni, alla seconda parte del saccheggio.
Una quantità di immobili di pregio da cedere a prezzo di realizzo a
qualche Pantalone pronto a comprarsi il suo pezzo di Italia. Poi
sorridiamo quando la Grecia mette in vendita le sue isole…
Prima i terreni, poi gli immobili. E poi? Poi arriverà il terzo
blocco, per certi versi quello più sostanzioso: le aziende pubbliche. Da
tempo se ne parla, e presto vedremo realizzato anche questo incubo: Eni, Enel, Finmeccanica e tante altre aziende verranno cedute a poco prezzo a qualche multinazionale.
A quel punto ci ritroveremo con i conti in ordine, grazie a quel poco
di liquidità che riusciremo a rimediare, e saremo liberi di… ubbidire al
diktat dei nostri nuovi padroni.
Abbiamo un sistema produttivo che da alcuni decenni viene sistematicamente distrutto da pseudo-imprenditori
(con il pieno supporto del mondo politico), attirati dal guadagno
facile e miope della delocalizzazione, incapaci di capire l’esigenza di
una continua ricerca tesa al miglioramento dei prodotti anziché alla
concorrenza con i prezzi cinesi; un sistema produttivo che oggi riceve
il colpo di grazia dalla crisi economica e dalla sostanziale
impossibilità di accedere al credito bancario. A questo affianchiamo lo smantellamento del settore pubblico,
sia per quanto riguarda i servizi erogati, sia relativamente alle
proprietà e in particolare a quelle produttive. Aggiungiamo poi una
tassazione che è tra le più alte d’Europa e non solo, e otterremo il
risultato finale: un popolo disposto ad accettare qualsiasi condizione pur di mangiare.
Quello che ieri i nostri pseudo-imprenditori cercavano in Asia
orientale, tra poco sarà disponibile qui in Italia. Le aziende europee
apriranno i loro stabilimenti in Italia, potendo così usufruire di
manodopera a basso costo e, grazie all’elevata disoccupazione,
facilmente ricattabile, senza avere i problemi logistici legati alla
distanza; inoltre potranno approfittare di una legislazione sempre più
favorevole (non si parla molto di “zone franche” ma sono già pronte da tempo);
la moneta comune, che impedisce l’attuazione di una propria politica
economica, e la stabilità dei prezzi garantita dalla BCE faranno il
resto.
“La Cina è vicina” recitava uno slogan di qualche tempo fa; la verità è che ormai la Cina siamo noi.
A questo ci ha portato una classe politica corrotta fino al midollo; a
questo ci ha portato una classe imprenditoriale avida e incapace; a
questo ci ha portato la nostra indifferenza.
La terza guerra mondiale
si concluderà, come la precedente, con gli italiani nel ruolo degli
sconfitti. Nel 1945 diventammo una colonia degli USA, che da allora ci
utilizzano come una portaerei nel Mediterraneo; domani saremo la colonia
dei produttori di tutta Europa, piegati alla logica del mercato
neoliberista. Un mercato caratterizzato da una sempre maggiore
sperequazione tra chi è in cima alla piramide e tutti gli altri, con la
ricchezza che si accumula in alto e i danni sociali e ambientali che si
accumulano in basso.
Forse se mettessimo le nostre sorti in mano ad un gruppo di
quindicenni, più abituati a giocare a Monopoli che a pavoneggiarsi nei
vari G8, G20, G71, vivremmo con maggiore tranquillità. E comunque
potremmo sempre dire “non gioco più”.