Marineria siciliana in ginocchio dallo Ionio al canale di Sicilia e Tirreno. Per ragioni diverse i pescatori subiscono una grave crisi del pescato. A Catania hanno manifestato vivacemente. Le barche tornano in porto vuote da alcuni mesi a questa parte e i pescatori sono disperati. Ma è solo la punta dell'iceberg, la situazione comincia a diventare tragica perché la crisi si è aggravata sempre più per una serie di circostanze, una diversa dall'altra, ma tutte in grado di causare danni molto pesanti a chi vive del mare.
Nell'Isola sono 8000 i pescatori, duemila nella sola Mazara del Vallo: è la marineria più importante e si dedica quasi esclusivamente alla pesca d'altura, il resto dei pescatori siciliani, invece, si dedicano alla piccola pesca costiera.
Nel Canale di Sicilia il conflitto libico è la causa del disagio dei pescatori. Pochi sanno che le operazioni della Nato hanno conseguenze pesanti oltre che sul turismo trapanese anche sulla pesca d'altura. Gli aerei che sono impegnati nelle missioni sui cieli libici non possono atterrare con il carico di bombe con il quale sono decollati, devono perciò sganciare a mare prima dell'atterraggio il carico micidiale. Ove un aereo fosse coinvolto in un incidente durante l'atterraggio, la possibilità di esplosioni non può essere esclusa. Questa eventualità deve essere tenuta in considerazione, nonostante i presidi di sicurezza adottati nel caricamento e nelle stesse fasi di atterraggio. Una esplosione farebbe correre pericoli alle popolazioni civili. Da qui la necessità di eseguire alcune procedure prima dell'atterraggio.
Di queste si parla poco o niente, ma il problema si pose già durante la guerra nei Balcani. L'Adriatico fu teatro delle operazioni belliche. Gli aerei da combattimento eliminavano il loro carico micidiale sganciando le bombe a mare. La marineria nell'Adriatico fu fortemente penalizzata.
La stessa cosa sta accadendo, più o meno, sul Canale di Sicilia, specie in prossimità del "Mamellone" (così è chiamato il tratto di mare tra la Libia e Lampedusa, a 300 miglia da Mazara del Vallo).
Sul Tirreno, invece, ci sono altri problemi. 317 barche si dedicano alla pesca della neonata. Ogni equipaggio è formato mediamente di cinque unità. Sono, dunque 1500, le famiglie legate a questo settore della pesca, che è stato fermato dai regolamenti comunitari che vietano la pesca della neonata. Le pesche speciali sono vietate, non ci sono deroghe e si attendono nuovi regolamenti, che però non arrivano. Di conseguenza è tutto fermo.
La pesca della neonata ha una durata limitata, appena due mesi, ma è molto proficua. Si calcola che i pescatori riescano a guadagnare da 60 a 80 mila euro per stagione a testa. Il fermo, dunque, provoca un grave danno.
Nello Ionio la problematica è diversa. La scarsità del pescato e la crisi conseguente del settore è provocata dall'inquinamento. Su quella costa, infatti, insistono i grandi stabilimenti petrolchimici, da Augusta a Priolo. Il Mare è diventato avaro al punto di esasperare gli animi di chi va in mare. C'è stata una protesta e nei prossimi giorni ce ne saranno altre.
Il Presidente della LegaCoop Pesca, Pino Gullo, è preoccupato: "Deve essere dichiarato lo stato di crisi", sostiene. La Regione deve chiederla a Roma. Se ciò avverrà, potranno essere assunti provvedimenti straordinari di sostegno e soccorso. Roma, infatti, tentenna. E a questi tentennamenti la politica non è estranea.
- Un mare senza pesci... (Guidasicilia.it, 11/05/11)