Antonio
Diana è il titolare della Erreplast, un'azienda del casertano che
trasforma
le bottiglie recuperate con la raccolta differenziata. In una terra
dove
la gestione dei rifiuti è una continua emergenza e dove suo padre
Mario
fu ucciso dalla camorra
fu ucciso dalla camorra
“Per
fare l’imprenditore nel casertano, bisogna superare evidenti
ostacoli.
Manca un quadro di
Manca un quadro di
riferimento
hiaro, un modello di sviluppo. E c’è l’ingerenza della camorra”.
Antonio Diana,
Antonio Diana,
titolare
della Erreplast, un’azienda di Gricignano d’Aversa che si occupa
del riciclo
di materie
plastiche,
racconta la sua esperienza. Nella terra dove domina il clan dei
Casalesi e
dove le strade sono invase dalla spazzatura, Antonio
risponde con il lavoro quotidiano,
insieme al fratello Nicola. E per
le sue attività nel riciclo dei rifiuti, quest’anno è stato
nominato da Legambiente ambientalista dell’anno. E’ lui che ha
ricevuto più voti, tra i candidati prescelti.
Erreplast
nasce nel 1997. L’azienda seleziona e tratta bottiglie di plastica:
le trasforma
in preziose scaglie, che poi tornano nel ciclo
industriale e
vengono usate nel settore dell’abbigliamento e del
tessile.
L’impianto dei Diana potrebbe trattare ogni anno
20mila
tonnellate di bottiglie. “Ma funziona al 50% – racconta Antonio –
perché non
ci arriva un quantitativo di bottiglie sufficiente per
farlo andare a regime. Spesso
dobbiamo prendere la plastica da fuori
regione, sembra una contraddizione ma è così”. E l’emergenza
rifiuti in Campania non aiuta:
diminuiscono infatti i volumi di
materiale
differenziato e anche la qualità.
La
camorra ha segnato la storia di famiglia: il padre Mario Diana è
stato ammazzato
dal clan nel 1985 perché, da imprenditore, non volle
piegarsi al volere della cosca.
“
Pesano più gli atti concreti che
le parole – spiega Antonio – il dolore si porta dentro:
non
riesco a renderlo con una dichiarazione”. Due anni fa per
quell’omicidio sono stati
condannati in primo grado i vertici dei
Casalesi. Nella requisitoria il pm Antonello
Ardituro ha fatto cenno
ai figli Antonio e Nicola Diana, anche loro imprenditori:
“Non si
sono fatti fagocitare: è un importantissimo dato sociale e
processuale,
ha grande rilevanza per quella terra”. I fratelli
Diana si sono costituiti parte civile:
“Una cosa normale –
commenta Antonio – e le cose normali sono quelle che
sorprendono di
più in queste terre”. L’azienda Erreplast e l’idea del riciclo
viene
dall’esperienza del padre:
“Lui negli anni ’80 era avanti
di venti anni da lui abbiamo imparato il metodo,
l’educazione e il
profilo imprenditoriale: già all’epoca le sue aziende recuperavano
scarti industriali”.
In
queste terre andare via o restare è una scelta di vita. Mai pensato
di
mollare tutto? “Sì, qualche volta. Ma noi proseguiamo un
percorso e
pensiamo si possa fare impresa dalle nostre parti”. Per
fare l’imprenditore,
ogni tanto, si deve evitare di aprire la
porta, “qualcuno non lo ricevi e
vai avanti”. Da anni
i Diana
lavorano solo con i privati: “Niente appalti con la pubblica
amministrazione”, ammette Antonio. Spesso negli appalti sono
favorite
le aziende di famiglia di
politici-imprenditori che hanno
banchettato per anni con la camorra e divorato
risorse pubbliche.
Con
le altre aziende del gruppo, Antonio Diana ha 200 dipendenti: “
Non
ho mai voluto un direttore del personale – precisa – la
redditività la
fanno gli uomini e il rapporto con loro è
fondamentale”. In un altro
impianto si occupa dal
2006 anche di
selezionare i rifiuti di imballaggio (plastica, alluminio e banda
stagnante). “Anche in questo comparto paghiamo il prezzo
dell’emergenza:
all’inizio l’impianto lavorava al 30% delle sue
potenzialità. Dal 2008 abbiamo
introdotto un incentivo per i comuni:
non pagano nulla per depositare
questi materiali, se rispettano le
specifiche dei rifiuti da conferire. Ma nonostante ciò,
continuiamo
a
lavorare al 50% delle nostre possibilità”.
Antonio
denuncia le conseguenze delle inefficienze nella gestione dei
rifiuti:
“Paghiamo un prezzo altissimo come cittadini. Con
un’adeguata raccolta
la regione Campania potrebbe risparmiare ogni
anno 100 milioni di euro,
econdo i dati del Conai (Consorzio
nazionale imballaggi, ndr): verrebbero
cancellati i costi del
conferimento in discarica e recuperati i ricavi delle
vendite di
imballaggi riciclati”. E forse le strade campane inizierebbero a
svuotarsi dai rifiuti. Tra questi ci sono anche le bottiglie di
plastica. Le
stesse che l’azienda dei Dia
na importa da altre
regioni. Paradosso di un’emergenza infinita. In una
terra che
ospita l’ambientalista dell’anno di Legambiente.
di
Nello Trocchia
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