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domenica 8 settembre 2013

Il loro petrolio e quello altrui. Perchè gli Usa vogliono intervenire in Siria proprio ora


Nessuno, credo, si beve la favoletta che un esercito – qualsiasi esercito – intervenga per difendere civili innocenti e per far splendere la luminosa fiaccola dei diritti umani. Le guerre – tutte le guerre – riguardano l’accesso alle risorse naturali e il loro controllo. Le risorse naturali spiegano perchè il conflitto il Siria è scoppiato proprio ora; spiegano anche perchè proprio ora gli Stati Uniti vogliono intervenire nel conflitto siriano.

Per riassumere la mia analisi in due parole, adesso – e solo per pochissimi anni a venire – gli Usa sono al minimo storico delle importazioni di petrolio e di gas, dato che col fracking (foto) hanno strizzato fuori idrocarburi dalla loro terra anche a costo di stritolarla e avvelenarla. Quindi se ora gli Usa mettono il mondo sottosopra e il prezzo del petrolio schizza all’insù, a loro toccherà il minore dei danni possibili: i guai saranno invece degli altri.

Forti di questa breve situazione di vantaggio, gli Usa vogliono aumentare la loro influenza in un Medio Oriente (ancora) ricco di petrolio e gas – di cui fra pochi anni avranno di nuovo un disperato bisogno – e isolare ulteriormente l’Iran, lo “stato canaglia” che ha il torto di galleggiare sul petrolio.

Come? Mi state dicendo che fra 10 anni gli Stati Uniti supereranno l’Arabia Saudita nell’esportazione del petrolio? Ah, ma questa è una favoletta come l’esportazione della democrazia.

Le magnifiche sorti, e progressive (come direbbe Leopardi) del petrolio statunitense sono contenute nelle previsioni dell’Iea (International energy agency) che fa capo all’Ocse, l’organizzazione per gli studi economici dei Paesi sviluppati. Io preferisco affidarmi all’Ewg, Energy watching group. Si tratta di scienziati indipendenti finanziati da una fondazione tedesca privata; il loro scopo è fornire informazioni obiettive sull’energia a beneficio di tutti coloro che devono prendere decisioni ad essa relative. L’Ewg usa i dati ufficiali riguardo a riserve certe e produzione, ma li proietta verso gli scenari futuri con autonomo senso critico. I grafici che pubblico in questo post sono tratti dal loro rapporto “Fossil and nuclear fuels. The supply outlook”, pubblicato nel marzo scorso.

La situazione degli Usa e il loro – secondo me – desiderio di sfruttare la breve ed effimera “finestra” di minima dipendenza dall’energia di importazione si inserisce sullo sfondo del picco del petrolio, che ormai è fra noi. Gli Usa hanno reagito al picco del petrolio attraverso lo sfruttamento di idrocarburi non convenzionali, ma shale gas, shale oil, tight oil e – insomma – tutta la variegata famiglia variamente riconducibile al concetto di fracking ha un difetto accertato: i pozzi e le riserve effettivamente recuperabili si esauriscono alla velocità della luce e per mantenere produttivi i giacimenti è necessario scavare un numero sempre crescente di costosi pozzi.

Di questo non tengono conto le stime che vedono negli Usa l’Arabia Saudita del futuro. Ne tiene invece conto l’Ewg. Ecco il suo grafico relativo alla produzione di tutti gli idrocarburi negli Stati Uniti: il passato è ovviamente assodato, il futuro è quello stimato da Ewg: ancora una breve crescita e poi il declino. La linea superiore nera rappresenta le importazioni; la parte tratteggiata col punto interrogativo indica la stima governativa ed ufficiale della futura dipendenza degli Usa dalle importazioni. Ma secondo me quelli che stanno nelle stanze dei bottoni sono i primi a non credere a certe loro affermazioni.


Vedete? Ora, grazie a fracking ed affini gli Usa effettivamente non dipendono molto dalle importazioni di idrocarburi. Ma nel giro di quattro anni si arriverà anche al “picco del fracking”, se vogliamo chiamarlo così. Anzi, per il gas secondo Ewg il culmine è stato già raggiunto nel 2012.

 
Secondo Ewg, la produzione di petrolio statunitense aumenterà ancora per qualche anno – compensando così ad abundantiam la diminuzione della produzione di gas – ma nel 2017 (vedere la prima tabella) comincerà l’inarrestabile declino.

Se è così, gli Stati Uniti ora hanno tempo fino al 2017 per raccogliere i frutti (petroliferi) della breve stagione del fracking e per comportarsi da superpotenza planetaria: se si inseriscono nelle faccende della Siria, oltretutto, potranno mettere più facilmente le mani sul petrolio mediorientale di cui fra pochissimo tempo torneranno ad avere urgente e crescente bisogno. 

Fonte
http://blogeko.iljournal.it/il-loro-petrolio-e-quello-altrui-perche-gli-usa-vogliono-intervenire-in-siria-proprio-ora/76413#more-76413