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giovedì 11 luglio 2013

Fame e paura, crimini contro l’umanità per rapinare i greci

«Più di un terzo della popolazione greca non ha più accesso alla sanità nazionale», stima Giorgos Vichas, cardiologo. Alla clinica autogestita di Hellinikon, in periferia d’Atene, un centinaio di medici curano gratuitamente un numero sempre crescente di pazienti. Da un anno e mezzo, 10.000 persone hanno varcato le soglie di questa clinica di fortuna, installata nel mezzo di una vecchia base militare americana. A causa dei drastici tagli ai salari, abbassatisi del 40% in qualche anno, anche chi ha un lavoro non ha più i mezzi per pagare le spese mediche. E gli ospedali pubblici greci mancano di medicine, specialmente per la cura del cancro. Il settore della sanità è uno dei simboli della delinquenza dei servizi pubblici greci. In una sala di consultazione dai muri bianchi, il cardiologo snocciola storie che la dicono lunga sullo stato del paese: quella di una donna che ha appena partorito e a cui l’ospedale non vuole dare il figlio finché non paga le spese mediche. Un’altra è stata trattenuta nella sua camera d’ospedale, con una guardia davanti alla porta, perché doveva pagare 2.000 euro.

«Riceviamo molte persone che non possono più pagare per l’acqua e l’elettricità da quando le tasse sugli immobili sono aumentate. La corrente è stata tagliata anche a persone che hanno bisogno di strumenti medici permanenti, come l’ossigeno», dice Giorgos Vichas. Lo scorso inverno, non potendo comprare l’olio, il cui prezzo è raddoppiato, gli abitanti hanno rimesso in funzione i vecchi camini negli appartamenti. Si sono riscaldati con la legna, o la spazzatura. «La sera, ad Atene, l’aria era irrespirabile», commenta Makis Zervas, professore all’Hellenic Open University. Tre anni dopo il primo “piano di salvataggio” europeo, la Grecia scivola in una recessione che sembra non dover finire mai. Il tasso di disoccupazione è arrivato al 27%, il triplo rispetto al 2009. Una cifra ufficiale ancora al di sotto della realtà. «I giovani che cercano un lavoro dopo la fine degli studi non sono inseriti nel calcolo, né tutti quelli che lavorano un’ora alla settimana», precisa Makis Zervas. Nemmeno i lavoratori indipendenti che hanno appena terminato la loro attività a causa di mancanza di clienti.

Nel centro di Atene, le saracinesche sono abbassate su una parte delle attività commerciali. Il 63% dei giovani con meno di 25 anni è senza lavoro. La crescita ? Con un tasso del 6% nel 2012, sembra molto lontana. Il Pil è caduto del 25% dal 2008. Come quello degli Stati Uniti al momento della crisi del 1929. Quali prospettive dopo sei anni di recessione? La Grecia è «sulla buona strada per raggiungere il suo ambizioso piano di pareggio del debito», osa dire la direttrice generale del Fmi, Christine Lagarde. Il paese potrebbe ritornare a crescere nel 2016, profetizzano il Fmi e l’Unione Europea. Ma per arrivare fin qua, bisognerà fare degli sforzi. Come se si esigesse ancora, dalla Grecia già stremata, di correre una maratona in più. Gli obiettivi di riduzione del debito, fissati dalla Troika (Fmi, Commissione Europea, Banca Centrale Europea) sembrano irreali. Qualcuno, in un ufficio da qualche parte a Bruxelles o Francoforte, ha disegnato delle curve, maneggiato la sua calcolatrice, disegnato delle proiezioni. Riprese pari pari dai capi di Stato europei. Obiettivo: un debito al 124 % del Pil nel 2020. Era del 156 % nel 2012. Sarà del 175 % nel 2013.
E’ cominciata male. Veloce, risponde la Troika, bisogna accelerare le privatizzazioni, smantellare i servizi pubblici, e in assenza di alternative, ricapitalizzare le banche. La vendita delle compagnie di gas è cominciata la settimana scorsa, e la televisione pubblica è stata colpita dal ritorno del boomerang: 2.600 disoccupati in più. Compagnie d’elettricità, d’acqua, di gas naturale, porti e aeroporti, ferrovie e autostrade, lotteria nazionale… la Grecia svende i suoi beni pubblici. Questi dovrebbero portarle 9,5 miliardi di euro entro il 2016. «Stanno anche privatizzando la riscossione delle tasse», si indegna Makis Zervas. «E le università sono state ricomprate al 49% da società private, il che è contrario alla Costituzione». Il “piano di cessione delle attività pubbliche” preteso dal Fmi e dall’Unione Europea è messo in opera dal Fondo di espropriazione del patrimonio pubblico (Taiped). Questa società anonima greca, fondata nel 2011, ha per obiettivo di “massimizzare il valore” dei beni pubblici venduti. Poiché queste privatizzazioni sono «l’elemento chiave per il ripristino della credibilità, precondizione fondamentale per il ritorno della Grecia sul mercato dei capitali mondiali», martella il sito dell’organismo. Che propone, come in un catalogo turistico, spiagge, foreste, isole deserte o siti archeologici. Tutto deve sparire. Signore e signori miliardari, promotori immobiliari e industrie del turismo, non esitate: è l’ora dei saldi.
 
In testa sul sito del Taiped: un terreno di 1,8 milioni di metri quadri (l’equivalente di 250 campi di calcio) con 7 chilometri di costa sull’isola di Rodi. E le zone classificate “Natura 2000”, sulle quali Taiped suggerisce di costruire alberghi, campi da golf e centri commerciali. O il vecchio aeroporto di Atene, un terreno di 623 ettari (tre volte la superficie di Monaco) in riva al mare, dove qualche resto di infrastruttura costruita per le Olimpiadi del 2004 si eleva nel mezzo di erbacce. «Hanno cercato di venderlo al Qatar, che non l’ha voluto», spiega Natassa Tsironi, una riparatrice che qui si occupa di un giardino autogestito. «Una legge ha votato che si autorizzino gli investitori a fare quello che vogliono di questo terreno, ivi compreso costruire delle torri; 69 ostacoli regolamentari, amministrativi e tecnici, che rallentavano le privatizzazioni, sono stati eliminati», gioisce Taiped nella sua relazione del 2013. La società di “denazionalizzazione” è guidata da un ufficio di cinque membri, tutti usciti dal settore privato e delle banche greche. Il suo presidente dirigeva fino al 2013 la più grande compagnia della acque in Grecia, e ha fondato un’impresa di costruzione di piscine – le entrate sembrano assicurate, visti tutti i complessi preposti allo svago che cresceranno sulla costa.
 
Il direttore generale di Taiped, Yannia Emiris, era responsabile della banca d’investimenti Alpha Bank. Accompagnato da due “osservatori” nominati dall’Ue e dall’Eurozona, questo gruppo è stato incaricato della liquidazione dei beni pubblici greci. E dispone di una «autorità assoluta circa le decisioni». Tutte le entrate trasferite al Fondo devono essere vendute o liquidate: «Il ritorno degli attivi allo Stato non è autorizzato». La grande svendita – «il più grande programma di cessione del mondo» – è iniziato. Il popolo greco fatica a veder partire il suo patrimonio sbriciolato? «Non si può fare una frittata senza rompere le uova», dice retorico il primo ministro Antonis Samaras, in un forum a proposito della privatizzazione della radio-televisione pubblica greca, la Ert. «Dobbiamo mostrare al popolo che noi osiamo opporci ai pilastri più urlanti dell’opacità e dello spreco», scrive. Ert era dunque un eccesso. Che i cittadini trovino il modo di vedere una logica in queste decisioni arbitrarie. La frittata è riuscita, almeno? Gli obiettivi sono lontani dall’essere raggiunti: in due anni, le privatizzazioni non hanno portato che 2 miliardi di euro. Neanche 1% del debito.
Questo d’altronde non diminuisce di una virgola. Era di 310 miliardi nel 2009. Nel 2013, qualche “piano di salvataggio” più tardi, col il paese che si infossa nel marasma economico mentre la democrazia greca è in agonia, il debito si eleva sempre a 309 miliardi di euro. Il Pil ha subito violenti colpi d’arresto e il debito rappresenta oggi il 180 % del Pil (contro il 130% del 2009). La Grecia non è più un paese sviluppato, stima il fornitore di indici di borsa “Msci”, che la pone ormai nella categoria dei paesi emergenti. Quanti anni ci vorranno per ritrovare il tasso d’occupazione del 2009? «Con il 4% di crescita, si può sperare di raggiungere quel livello nel 2020-2025», valuta Sotiris Koskoletos, economista all’Istituto di ricerca Nicos Poulantzas. «Ma chi può sperare oggi in una crescita al 4%?». A cosa sono serviti i piani di salvataggio successivi? A salvare la Grecia da una bancarotta immediata, concedendole nuovi crediti. E cancellando un parte del debito, grazie a una sua “ristrutturazione”, aggiungendole dei nuovi prestiti. Ma anche – e soprattutto – salvando le banche greche e i creditori stranieri. «Una buona parte del piano d’aiuto è stato utilizzato per la ricapitalizzazione delle banche, è un dato di fatto. Erano infatti sotto-capitalizzate, versando in gravi difficoltà finanziarie e a rischio di fallimento», descrive la situazione Céline Antonin, economista presso il dipartimento analisi e previsione dell’Ofce.
 
Chi ha ricevuto i 207 miliardi di euro sbloccati dall’Unione Europea e dal Fmi dal 2010? Le banche greche (per 58 miliardi) e i creditori dello Stato greco (per 101 miliardi), in gran parte banche e fondi di investimento. Almeno il 77 % dell’“aiuto” europeo non è andato a beneficio dei cittadini ma, direttamente o indirettamente, al settore finanziario. Uno studio di “Attac Autriche” mostra che solo 46 miliardi sono serviti a rigonfiare le casse pubbliche – sempre sotto forma di prestito, ovviamente. Da mettere in parallelo con i 34 miliardi pagati dallo Stato ai suoi debitori come interesse sul debito nello stesso periodo. Salvare le banche è quindi la priorità della Troika. «Si può averne l’impressione, in quanto cittadino, e giustamente: è un assegno in bianco alle banche», prosegue Céline Antonin, dell’Ofce: è soprattutto un mezzo di trasformare il debito privato detenuto dalle banche e dai creditori, in debito pubblico. La parte del debito greco detenuto dai creditori privati è stata divisa in due. Su chi peserà, d’ora in poi, il rischio di bancarotta della Grecia? Sull’Unione Europea e sul Fmi. Quindi sugli Stati e sui cittadini europei.
Perché i greci hanno accettato queste misure di austerità in cambio di un “piano di salvataggio” che non ha risolto niente? «Abbiamo perso un milione di posti di lavoro nel settore privato. E’ come se, in Francia, si sopprimessero d’un colpo 6 o 7 milioni di posti di lavoro. Si ricevono più volte al giorno delle cattive notizie. Come un cervello umano può sopportare questa cadenza?», si interroga Panagiotis Grigoriou, storico ed etnologo, autore del blog “Greek Crisis”. «Più di 8.000 manifestazioni e scioperi hanno avuto luogo in tre anni, i greci si sono rassegnati. Cosa si può fare di più? Ogni linea del “memorandum”, la lista delle misure di austerità imposte dalla, è stata votata. Si annullano delle leggi in vigore da decenni. La Costituzione è stata violata. A cosa serve il Parlamento? Non siamo più nel capitalismo, ma nel suo prolungamento: una sorta di meta-capitalismo», prosegue Grigoriou. Trauma collettivo: una situazione che ricorda stranamente la strategia dello choc, definita da Milton Friedman, teorico del liberismo economico, «aspettarsi una crisi su ampia scala e poi, mentre i cittadini sono ancora sotto choc, vendere lo Stato pezzo per pezzo, a degli interessi privati, prima di trovare il modo di rendere eterne le “riforme” varate sotto il segno della fretta».
 
Benvenuti in Grecia, laboratorio europeo del “capitalismo del disastro”. Milton Friedman descrive come dei cambiamenti economici improvvisi e di grande ampiezza provochino reazioni psicologiche «facilitanti la risoluzione». Una risoluzione che si traduce in attacco sistematico contro la sfera pubblica. Un approccio simile alla dottrina militare degli Stati Uniti in Iraq, “Shock and Awe” (trauma e spavento), descrive l’autrice canadese Naomi Klein, che aveva lo scopo di «controllare la volontà, le percezioni e la comprensione dell’avversario, privandolo di ogni capacità di agire e reagire», per meglio attuare, infine, la terapia dello choc economico. «Far uscire la Grecia dalla crisi non era la più grande preoccupazione della Troika», analizza Haris Grolemis, responsabile dell’istituto di ricerca Nicos Poulantzas. «Se avessero voluto davvero aiutare il paese, avrebbero agito in maniera meno violenta e più solidale. Ma l’essenziale per loro era di proteggere l’euro. E di imporre una disciplina ai paesi che non seguivano alla lettera le regole di Maastricht». Risultato: la Grecia è diventata una sorta di zona economica speciale, dalla manodopera a buon mercato.
Il 5 giugno 2013, il Fmi ha fatto il suo mea culpa: Christine Lagarde ha ammesso che il primo “piano di salvataggio” in Grecia è terminato con dei «notevoli fallimenti». E indica come responsabile l’Unione Europea: gli Stati europei non avrebbero «le competenze» richieste per far bene avanzar questo tipo di programma di aiuti. Ma la privatizzazione dei beni pubblici e il salvataggio degli interessi finanziari privati prosegue. «Miliardi di persone perdono la loro vita o subiscono danni irreparabili alla loro salute, a causa della vita politica condotta oggi in Grecia», insorge il dottor Giorgos Vichas. «Non sono delle semplici morti, sono degli omicidi: quelli che hanno votato delle leggi che provocano l’esclusione di un numero di persone crescente dalla copertura sanitaria nazionale sono degli assassini. Non è solo una responsabilità politica, ma una responsabilità criminale. Speriamo che un giorno pagheranno per i loro crimini». La morte subita dalla televisione pubblica ha sferzato la popolazione greca. Un risveglio della democrazia? E’ quello che ci spiegano, gli occhi lucidi, quelli che incrociamo nel locali occupati della “Ert”, là dove i tecnici e i giornalisti si affannano per continuare la diffusione dei programmi, su canali clandestini. La Grecia non è che un laboratorio, altri paesi saranno presto coinvolti. «In Francia, voi sarete forse i prossimi. Preparatevi». Le politiche d’austerità e la strategia dello chock della Troika saranno presto estese a tutto il continente? Il solo mezzo di impedirlo è di lottare accanto a chi sarà la prossima cavia.

Fonte:
http://www.informarexresistere.fr/2013/07/11/fame-e-paura-crimini-contro-lumanita-per-rapinare-i-greci/