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martedì 4 settembre 2012

Fusione fredda, l'E-Cat di Celani funziona: l'intervista esclusiva

L’E-cat di Francesco Celani funziona: con la collaborazione della National Instruments, il ricercatore,  vicepresidente della Società Internazionale di Scienze Nucleari della Materia Condensata, ha dimostrato che il suo dispositivo, basato su un sistema nichel/idrogeno, è in grado di generare energia in eccesso mediante una possibile reazione nucleare a bassa energia (Lern). Celani, in seguito a questo successo, ha accettato di rispondere ad alcune nostre domande.

NM. Quando è nato il Suo interesse per la Fusione Fredda?

FC. Il mio interesse è nato pochi giorni dopo il famoso (successivamente definito “famigerato”) annuncio di Martin Fleishmann e Stanley Pons il 23 Marzo 1989. Secondo me, in buona fede, potevano aver preso un qualche abbaglio. Avevo un po’ d’esperienza sia di chimica (sviluppo di superconduttori ad alta temperatura critica con metodi innovativi, tra l’altro brevettati) che neutroni a bassissima intensità. Avevo infatti condotto misure accurate di neutroni dentro il laboratorio sotterraneo del GranSasso nel 1986-‘87; in generale avevo sempre lavorato, sperimentalmente, con rivelatori di particelle nucleari di vario tipo. Pensavo quindi di avere le condizioni al contorno sufficienti per vedere se quello che avevano trovato era corretto oppure c’era qualche errore da qualche parte, ripeto, commesso in buona fede, dato l’estremo valore scientifico di Martin Fleischmann a livello internazionale. Dopo un certo numero d’esperimenti mi sono reso conto che, a volte, si verificavano fenomeni che non erano facilmente giustificabili con quello che sapevo io o i miei diretti collaboratori. A questo punto ho, o meglio dire abbiamo, cercato di approfondire gli studi sperimentali. Ho passato due anni dentro il GranSasso, effettuando misure a bassissimo fondo di neutroni e “qualcosa”, al di sopra di errori sistematici e/o statistici, a volte usciva fuori. Sono partito in maniera critica/scettica verso la Fusione Fredda, ma critica costruttiva. Pensavo: “Ci deve essere qualche errore nascosto in qualche parte, oppure è una scoperta, bellissima, per il pianeta Gaia. Vediamo di capire il tutto, con, sì rigore scientifico più elevato possibile, ma senza pregiudizi e/o paraocchi”. In altre parole, prima i fatti (cioè gli esperimenti) e dopo, possibilmente/eventualmente, le opinioni (cioè i modelli teorici).

NM. Sappiamo che Lei ha sempre creduto nel famoso E-cat di Andrea Rossi. Può confermarcelo?

FC. Secondo me c’è una probabilità diversa da zero che Andrea Rossi abbia scoperto, in maniera puramente casuale, qualcosa di molto buono, ma non è in grado di controllarlo, e quindi prende tempo. Questa è una mia “cattiveria”, ma spero per lui, e per tutto il mondo, che abbia ragione, almeno in parte.

NM. Andrea Rossi non dice sostanzialmente nulla o quasi sulla sua scoperta. Dalla sua esperienza di scienziato, cosa deduce ci possa essere dentro il misterioso E-cat? L’inventore sostiene ci sia fusione nucleare tra il nichel e l’idrogeno: lei che ne pensa?

FC. Il fatto che lui non parli è il motivo per il quale ogni volta che c’è qualche interazione con la comunità scientifica ci sono “scintille”. D’altronde lui si autofinanzia, quindi è comprensibile che non voglia rivelare alcunché. Le dirò una cosa: ormai il numero dei modelli che tentano di spiegare la cosiddetta (ed impropriamente) “fusione fredda” dal 1989 ad oggi ha superato il valore di 140, quindi 140 o 141 (compreso quello di Rossi), non cambia molto. Pertanto preferisco di più attenermi ai fatti, altrimenti si inseguono i modelli teorici (e ci si accapiglia): è sì molto bello, ma alla fine la “macchina” deve funzionare, in pratica…

NM. Passiamo ora a parlare della Sua scoperta, o meglio dire sviluppo di un nuovo materiale. Può dirci qual è il Suo rapporto con la National Instruments? Pensa che l’azienda investirà materialmente nel progetto?

FC. Riguardo a questo rapporto c’è un punto chiave, o meglio un personaggio chiave: il fondatore della National Instruments, Dottore (in Fisica) James Truchard. É un personaggio eccezionale, per il semplice fatto che osa osare. Ovviamente preferisce il rischio calcolato, ma non è legato alla “poltrona”. Tutti i passi che ha compiuto durante la sua lunghissima carriera di imprenditore innovativo sono stati lenti ma sicuri (tipo montanaro), ha occupato tutte posizioni che gestiva e che meritava: ha il potere che gli compete e merita, cosa molto rara di questi tempi. Se occupi posizioni che non meriti sei “ricattabile” dal potente (o potere) di turno, altrimenti sei un uomo libero e fai grandi cose: è quello che ha fatto Truchard. La sua Società l’anno scorso ha superato il fatturato di un miliardo di dollari ed è la Società più grande al mondo esperta in sistemi complessi. Quindi lui potrebbe stare benissimo alla Bahamas a godersi il sole e la vita, visto che ha oltre 70 anni: invece sta in laboratorio dalla mattina alla sera (e spesso la notte come nel nostro caso). Ho avuto il personale piacere di stare con lui durante i giorni della durissima/intensissima preparazione degli esperimenti ad Austin (Texas, Usa), perché lui stava con noi, faceva anche i lavori più umili per far partire l’esperimento (come attaccare i fili, controllare i contatti con il tester, stringere bene il connettore potenzialmente lento). Questo è un vero Amministratore Delegato, degno di stima e rispetto. Quando penso che in Italia un qualunque anonimo dirigente ritiene di avere il mondo sotto i piedi, è provvisto di auto-blu e schiavetti vari, è chiaro che rispetto a Truchard c’è un abisso. Lui però ha la stima da parte dei dipendenti, l'anonimo dirigente spesso no. Lui lavora, si diverte, è felice. Poiché, non per vantarmi, ritengo di avere un’indole simile alla sua, mi trovo bene a lavorare con lui.
Parlando di finanziamenti, il modello operativo della National Instruments è il seguente: c’è una linea di ricerca, quella delle Lern (Low Energy Nuclear Reactions, nuovo nome, meno fuorviante e restrittivo rispetto a Fusione Fredda) che va avanti da 23 anni, condotta spesso da scienziati al massimo livello (addirittura Premi Nobel). Quindi, probabilmente, c’è qualcosa di buono, ma per motivi più o meno chiari, questa ricerca è stata maltrattata; ogni volta che si trova qualcosa di valido, lo studioso autore della scoperta viene “impallinato” in maniera eccessiva. Inoltre, perché i soldi sono pochi, quindi la strumentazione di controllo è povera, è facile commettere errori in buona fede o non aver effettuato tutti i possibili controlli incrociati. É la stessa situazione di rimprovero effettuata verso persone molto povere che non fanno un pasto completo e non vestono in modo adeguato… L’azienda National Instruments, per fortuna, possiede, e sviluppa (a livello software all’interno, hardware con specifiche joint-ventures), la strumentazione di controllo più avanzata al mondo: ogni strumento complesso è di loro competenza, grazie ad un gruppo di lavoro di ingegneri, fisici e chimici eccellenti, estremamente affiatati e collaborativi. L’amministratore delegato ritiene che la multidisciplinarietà sia la chiave per risolvere i problemi della Terra e quindi ha deciso di vedere cosa succederà nel fare qualche tentativo per rendere la vita a tale linea di ricerca meno complicata. L’azienda ha investito una piccola parte del denaro aziendale: per noi è comunque un aumento di competenze e, se va bene, potrebbe essere estremamente importante. Per loro, poter dire che le problematiche delle Lern sono state risolte grazie alla loro strumentazione sarebbe un grande vantaggio di immagine: se andasse male, avrebbero trovato l’errore che tutti hanno commesso in buona fede, se andasse bene, funzionerebbero anche grazie a loro. Quindi in realtà la National Instruments rischia poco. Per assurdo, rischiando molto, rischia molto poco.

NM. Oltre alla National Instruments, ha altri contatti privati o collaborazioni?

FC. Abbiamo una collaborazione, recente, con l’Enel, questione di piccole cifre. Poi, storicamente, abbiamo sempre lavorato con i giapponesi, a vari livelli. Loro ci hanno aiutato molto. Il governo, e numerose industrie private, continuano a credere in tale linea di ricerca, non come atto di fede, ma come possibilità scientifica degna di indagine approfondita e a largo spettro. In fondo tale ricerca non costa molto se effettuata all’interno di ambienti di ricerca (e strumentazione di analisi) già esistenti, per cui, mettendo poco denaro fresco, si può ottenere molto. Un modo molto intelligente di utilizzare il denaro pubblico. Secondo i giapponesi è ricerca di base, che deve essere effettuata principalmente dal governo (cioè Università ed Enti di Ricerca Pubblici). Inoltre, industrie come la Toyota, la Mitsubishi, sono grandi industrie perché sono lungimiranti: hanno sempre finanziato le Lern. Come, recentemente, la National Instruments. Chi osa vince, mentre chi è incollato alla poltrona, nel lungo periodo perde: nel perdere porta alla rovina la Nazione in cui si trova e i suoi cittadini (che lo hanno, lautamente, retribuito tramite tasse sempre più elevate….).

NM. Utilizzando il nichel al posto del palladio, gli esperimenti funzionano molto meglio con l’idrogeno rispetto al deuterio. Al di là del vantaggio economico ovvio del primo rispetto al secondo, può spiegarci il perché di questo?

FC. Tengo a precisare innanzitutto che la relazione, esposta il 14 e 16 Agosto 2012 alla Conferenza Iccf17, si riferisce per il 95 per cento agli esperimenti condotti precedentemente a Frascati, mentre quelli svolti ad Austin e in Corea hanno fornito risultati addirittura superiori a quelli precedenti (la relazione è quella effettuata da Francesco Celani durante la conferenza internazionale sulla fusione fredda Iccf-17, N.d.R.). Il sistema si è comportato meglio dopo circa 10 giorni di “fermata” e su questo esistono alcune ipotesi di lavoro: la questione va indagata a fondo.
Riguardo al rapporto idrogeno/deuterio, per ora questo è un dato di fatto: usando il palladio la reazione procedeva meglio con il deuterio, mentre con il nichel l’idrogeno. Su tale evidenza sperimentale i teorici sono “partiti per la tangente”. Tra l’altro il fatto che il sistema nichel/deuterio non funzionasse l’hanno trovato anche i giapponesi della Toyota, non solo noi. I materiali utilizzati erano, per molti aspetti, similari, cioè una lega rame-nichel a dimensionalità sub-micrometrica o addirittura nanometrica (ovvero da 1000 a 100 mila volte più sottile di un capello umano, N.d.R.). Due esperimenti, effettuati in maniera segreta (nulla sapeva l’uno dell’altro), con apparecchiature molto diverse, trovano risultati similari. La questione non è dunque così banale: la probabilità che vi sia un qualche errore nascosto è significativamente bassa.

NM. A proposito del palladio, l’ipotesi di meccanismo nel vostro caso è diversa da quella che si ipotizzava con quel metallo. È corretto?

FC. No, secondo me, anche nel palladio, usando i fili, si genera calore quando la resistenza del metallo scende in maniera significativa, come nel nostro caso. È un fenomeno incredibile per il rame-nichel, ma probabilmente non diverso nei due casi: quindi una buona parte degli studi compiuti sul sistema palladio/deuterio possono essere trasferiti al quello nichel/idrogeno. Il vantaggio del nostro sistema però è che, mentre il palladio è molto costoso (circa la metà dell’oro), il nichel non costa quasi nulla.

NM. Voi, in generale come Lern, ipotizzate ci sia una vera e propria fusione tra i nuclei?

FC. Le uniche misure convincenti del deuterio che diventa elio-4 (l’elio-4 è un nucleo che può essere pensato come la fusione di due nuclei di deuterio, N.d.R.) sono state compiute nel 2008, da Yoshiaki Arata, professore presso l’Università di Osaka (Giappone), con il palladio a livello di nanoparticelle, oltretutto effettuando un esperimento in tempo reale, in pubblico. Poi ci sono altri indizi, altri esperimenti condotti in Italia e all’estero, che sembrano confermare questo fenomeno. Con il nichel sarebbe interessante capire cosa succede, ma servono tanti soldi (strumentazione adeguata, persone preparate con formazione multidisciplinare, etc.).

NM. Se il nucleo di nichel si fonde con quello di idrogeno, dovrebbe formarsi rame. Andrea Rossi in effetti sostiene di aver trovato rame nel suo reattore. Lei che ne pensa? Ha provato a verificare se anche nel Suo caso si forma questo elemento in seguito alla reazione?

FC. I colleghi di un’Università svedese hanno trovato che il rame ha la composizione isotopica uguale a quella naturale, quindi quel rame poteva essere stato già presente. Oppure, per pura fortuna ma con ignoto meccanismo, si produce rame identico a quello naturale. La questione è complessa. Nel nostro caso le misure comunque non sono state ancora fatte per mancanza di tempo materiale (gli ultimi esperimenti sono stati compiuti a Luglio).

NM. Un’altra questione è molto dibattuta nell’ambito di questo tipo di reazioni: i raggi gamma. Voi li misurate?

FC. Abbiamo misurato raggi gamma solo dopo aver messo il deuterio. Con l’idrogeno la reazione è praticamente “pulita”, oppure, se pure c’è un’emissione, è talmente debole e di bassa energia da non poter essere rivelata dai nostri strumenti.

NM. Quello che Lei mi dice confermerebbe le ultime affermazioni di Andrea Rossi riguardo tali emissioni: infatti, dopo che il suo collega Sergio Focardi aveva sostenuto di misurare queste radiazioni (e che questo fosse la prova dell’esistenza di una reazione nucleare), ha smentito completamente la prima dichiarazione. Può darci una Sua opinione in merito?

FC. Se per caso lui ha messo una miscela di idrogeno/deuterio o c’era comunque un po’ di deuterio in giro, si spiegherebbe questo fenomeno. D’altronde noi misuriamo qualche debole radiazione gamma con il deuterio solo in fase di riscaldamento: a regime non riveliamo praticamente più nulla.

NM. Riguardo all’eventuale presenza di una reazione nucleare senza produzione di raggi gamma, c’è chi sostiene che questo fenomeno sarebbe alquanto strano. È così?

FC. In realtà ci sono diverse reazioni nucleari senza raggi gamma, con emissione per esempio di particelle alfa (formate da due protoni e due neutroni, N.d.R.). Non necessariamente ci sono sempre i raggi gamma di alta energia. Se ci sono, siamo più contenti dal punto di vista della comprensione scientifica (la loro energia/energie, è/sono una sorta di firma univoca), ma non è un regola. Ci sono altri canali di reazioni possibili, anche se ipotizzarli è una cosa molto difficile. È un terreno realmente minato: lasciamo lavorare i teorici…

NM. L’energia in eccesso che voi misurate, per quanto assolutamente significativa, non è molto stabile. Pensa che si potrà in futuro controllare questo problema?

FC. In effetti le oscillazioni dell’energia emessa sono piuttosto evidenti nel nostro caso, però nel tempo l’energia tende ad aumentare. Tale fenomeno è stato trovato da noi e dai giapponesi, ripeto, in modo del tutto indipendente. Che la Natura voglia prenderci in giro su esperimenti distanti otto ore di fuso orario è una cosa che vedo poco probabile. Riguardo alla possibilità di controllare l’instabilità, studiando molto, si potrebbe riuscire a capire quali sono i parametri di controllo.  Abbiamo quindi bisogno di fondi adeguati e di serenità psicologica nel lavoro. In breve, chi si occupa di Lern è considerato più o meno un matto, visionario o addirittura truffatore. Peccato però che in molte realtà scientifiche ed industriali del Giappone ciò non avviene, come non avviene in numerosi centri di ricerca militari in Usa, presso la Nasa. In Italia, che è il paese della genialità e della creatività, siamo ostacolati in una maniera quasi sospetta.

NM. Lei pubblica tutto e spiega tutto. Quindi probabilmente non ha ancora pensato ad una eventuale commercializzazione della sua scoperta. È così?

FC. Lo studio di questo nuovo materiale (costantana modificata sulla superficie, N.d.R.) è stato compiuto grazie al coraggio di un imprenditore privato italiano che ha deciso di rischiare, di tasca sua: ha speso realmente un mare di soldi. É un’altra persona che preferisce stare in laboratorio, in Italia, piuttosto che divertirsi all’estero, o peggio ancora, giocare in borsa…. Abbiamo quindi fatto un accordo tra gentiluomini secondo il quale i proventi di un eventuale utilizzo commerciale spettano in buona parte a lui. A noi insomma rimarrà solo la gloria. Date le premesse, utilizzerà almeno in parte i guadagni per rifinanziarci. Questo privato però, che non è la National Instruments, preferisce per ora rimanere anonimo. Il processo di fabbricazione, realmente rivoluzionario, nel suo dettaglio operativo è ancora riservato per motivi legali. Appena verrà depositata la procedura, diremo tutto anche su quello. Nel frattempo, sono state attivati esperimenti di replica in vari Istituti di Ricerca, sia in Italia che all’estero.

NM. Avete effettuato una stima, anche grossolana, dei costi di questa tecnologia?

FC. Abbiamo effettuato una stima realmente “a palmi”: supponendo di produrre il filo in maniera industriale, il costo è meno di un euro al metro. Quindi, ipotizzando di avere a regime 10W di potenza in eccesso, a temperature di 300-400°C, si tratta di un oggetto realmente interessante anche dal punto di vista tecnologico. In poche parole, con 300 euro si possono ottenere 3 kW termici ed 1kW elettrico: tale valore è la potenza media elettrica consumata in una abitazione civile nell’arco di una giornata (cioè 24kWh/giorno). Supponendo invece di usarla come riscaldamento, con 1000 euro d’investimento in fili (più ovviamente i controlli/pompe), ci si riscalda tutto l’inverno e non solo per un anno. Il processo è stato pensato per essere a basso costo: la ditta ha speso un mare di soldi, seguendo le mie “follie”, per ottenere qualcosa che fosse assolutamente economico, quindi sicuramente costerà meno di un euro al metro il materiale di partenza (la costantana), comprensivo di lavorazione. Comunque, lo ribadisco, per ora è presto parlare di applicazioni, è solo una prospettiva, un bel sogno: il lavoro da effettuare è ancora enorme e dall’esito non scontato.

NM. Un’ultima domanda sull’attuale scenario della fusione fredda: cosa pensa della reazione piezonucleare di Alberto Carpinteri, che una parte della comunità scientifica critica fortemente? Il Professore ritiene di poter prevedere i terremoti: Lei pensa sia una prospettiva realistica?

FC. Quella reazione è interessante a livello scientifico, è molto avvincente. Se poi possa essere resa operativa è un altro discorso. Insomma è una linea di ricerca interessante, che va studiata, per capire i suoi vantaggi e i suoi limiti. Purtroppo non tutte le cose belle sono poi applicabili in pratica. Comunque io darei a Carpinteri spazio per studiare la questione bene: bloccarlo mi sembra da idioti (o invidiosi?).
La questione dei terremoti però potrebbe essere una cosa del tutto diversa. Limitandomi a quel poco che so del problema (probabilmente molto poco, ed in maniera superficiale), le onde sismiche tipiche, a bassa frequenza, cioè di pochi Hz, “camminano” molto, quelle alte, tipiche delle fratture (fenomeni che avvengono molte ore o giorni prima del manifestarsi del fenomeno sismico principale distruttivo), sono molto intense ma “camminano” poco, quindi si dovrebbe costruire una rete di sensori posti a distanza ravvicinata (qualche migliaio di metri?), a molti chilometri di profondità: la vedo dura.
Per quanto riguarda invece le emissioni neutroniche energetiche, penso che non riescano ad uscire in superficie da una tale profondità in maniera apprezzabile. Se ho capito bene, si parla di 10 km sotto Terra, dove c’è anche acqua. L’acqua “modera”, cioè rallenta (ed in parte assorbe) i neutroni, che poi possono venire ulteriormente “assorbiti” dai materiali circostanti, di composizione non costante. Quindi i neutroni, se anche ci fossero in maniera massiccia, non uscirebbero facilmente in superficie: forse un ulteriore studio di fattibilità/approfondimento potrebbe essere utile. Probabilmente i colleghi del Giappone, drammaticamente “esperti” in terremoti, potrebbero essere di valido aiuto e scientifico confronto. Per concludere, come cittadino dell’Italia, paese abbastanza ricco di terremoti, sarei veramente felice se le mie perplessità sull’interessante ipotesi scientifica del Prof. Carpinteri  venissero confutate. Comunque il lavoro deve essere ulteriormente approfondito e non “buttato alle ortiche”.
Roberta De Carolis
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