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mercoledì 4 maggio 2011

motorcity - O morto city ?


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anche Zaia si oppone all'espansione dei centri commerciali a difesa dei piccoli negozi e dei centri storici

I veneti si sono ingegnati: la legge distingue il «centro commerciale», con un unico ingresso, dal «parco commerciale», capannoni con ingressi separati; il primo vende scarpe, il secondo attrezzi per il bricolage, il terzo vestiti, il quarto vini e cibi, un tunnel li collega e la norma è aggirata. «Ma ora le cose stanno cambiando - dice Zaia -, come per i capannoni industriali: ne hanno costruiti troppi, e ora tanti sono vuoti. Il Veneto è terra di piccoli paesi: 581 comuni, tremila abitanti di media. Siamo fatti per l’osteria e il negozio sotto casa, la vita a " chilometro zero"; non per il moloch da metropoli postindustriale. Abbiamo 62 milioni di turisti l’anno, di cui soltanto 13 a Venezia: dobbiamo rafforzare il sistema commerciale nei borghi medievali e nelle città murate, aiutare la pizzeria e il negozio di abbigliamento, il banco di souvenir e il ristorante tipico». Dice Zaia che la priorità della giunta regionale è una nuova legge per i centri storici. «Troveremo il modo di dare sollievo ai piccoli commercianti, con gli incentivi, con l’esenzione dalle tasse regionali. In cambio dovranno abbassare i prezzi: perché vanno capiti anche i consumatori, che cercano il centro commerciale per comprare una t-shirt a 8 euro anziché 80, per prendere un hamburger con pochi soldi anziché delikatessen da gourmet che non si possono permettere. Io invece sogno che i veneti tornino amangiare i loro piatti tipici nelle osterie, a prezzi umani. Mi piace il consumo identitario, legato ai prodotti locali, attento alla qualità. Una fetta di salame, un pezzo di formaggio comprato dal negoziante sotto casa, che ha servito i nostri padri e i nostri nonni, ha un altro sapore». Di questo passo, ci si dovrà occupare della crisi dei centri commerciali; che è una delle motivazioni con cui la giunta piemontese prepara la stretta, appunto per salvare i gestori dei megamarket che già ci sono.
Zaia sostiene che anche nel campo della grande distribuzione bisogna distinguere: «Un conto è l’imprenditore locale, che investe sul territorio. I soldi spesi da lui bene o male restano nella comunità. Un altro conto sono gli outlet aperti dalle multinazionali. Chi fa acquisti là remunera investimenti di fondi californiani o di magnati stranieri, e spesso cade vittima dell’illusione di spendere meno, per poi scoprire desideri che neppure sapeva di avere. E poi queste città finte tendono a diventare "down-town", con gravi problemi di sicurezza come le città vere, comprese, la sera, droga e prostituzione. Lo so che tante famiglie ci vanno nel weekend, perché non sanno cosa fare. Ma preferisco imitare Klagenfurt, che ha trasformato la sua archeologia industriale in una serie di piccole botteghe. E diffondere l’esempio di Mestre, dove con il nuovo Centrobarche è nato un quartiere pedonale dove i veneziani di terraferma vanno a comprare i prodotti tipici». Anche la grande distribuzione, però, si sta adeguando alla filosofia del «chilometro zero». Nella piazza artificiale di Mondovicino c’è la gastronomia «Eccellenze del Piemonte», con la toma di Murazzano, la robiola di Roccaverano, il dolcetto di Dogliani e gli altri prodotti che piacciono al Carlin Petrini di Slowfood. E accanto alle cascine finte ce n’è una vera, la Cascina Viot, riadattata a sede per mostre «di artisti del posto» o almeno collegati con l’ormai inevitabile «territorio».

Quindi MORTO CITY ?