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venerdì 6 maggio 2011

Bioplastica dalla barbabietola: certificato un brevetto italiano


Si chiama Minerv® pha ed è un marchio italiano messo a punto da Bio on, azienda attiva nel settore delle moderne biotecnologie e Co.pro.bi, Cooperativa produttori bieticoli di Bologna

LIVORNO. Proviene dalla barbabietola da zucchero un nuovo biopolimero, che ha ottenuto la certificazione “OK Biodegradable Water”, dalla belga Vinçotte. La certificazione ottenuta attesta la completa biodegradabilità in acqua e a temperatura ambiente.
Si chiama Minerv® pha ed è un marchio italiano messo a punto da Bio on, azienda attiva nel settore delle moderne biotecnologie e Co.pro.bi, Cooperativa produttori bieticoli. Il nuovo biopolimero nasce dal comune progetto di ricerca, avviato nel 2007, finalizzato alla produzione di plastica biodegradabile dalle barbabietole, finora utilizzate prevalentemente per produrre zucchero.

La molecola di base è il Polyhydroxyalkanoato o Pha, che è un poliestere lineare prodotto da una fermentazione batterica dello zucchero. Ed è la prima volta - si legge nel comunicato di Bio on- che il Pha si ottiene da barbabietole e dai suoi derivati e non da oli o amido di cereali come la maggior parte dei biopolimeri oggi in commercio.

L’utilizzo di questo biopolimero può dare vita a oltre cento differenti monomeri – si legge nella scheda di presentazione- e ad altrettanti materiali con proprietà estremamente differenti. Può essere impiegato per creare materiali termoplastici o elastomerici, con il punto di fusione che varia da 40 a 180°C, che potranno quindi sostituire, oggetti plastici rigidi ottenuti dal petrolio come
Pet, Pp, PVC con i quali si producono bottiglie, packaging alimentare, componentistica auto, arredamento, fibre, pellicole per imballaggio, elettronica.

«La nascita di un nuovo biopolimero è sempre un aspetto interessante, si tratta di valutare adesso se rispetta anche alcune caratteristiche importanti per poterlo considerare sostenibile a tutti gli effetti. Certo il fatto che abbia ottenuto la certificazione ok biodegradable water da Vinçotte è estremamente positivo». Ci ha detto Lorenzo D’Avino, agronomo ed esperto di biopolimeri per Chimica verde Bionet, che ha continuato:
«Da verificare innanzitutto il fatto se si tratta di una sperimentazione o se invece c’è già una dimensione industriale; qual è la Lca - dato che la fermentazione è di per sé un processo che ha alti costi energetici - quanta energia è necessaria per la sua produzione. C’è poi da considerare che la barbabietola è un prodotto food e quindi se l’utilizzo per questo processo non vada in competizione con l’utilizzo ai fini alimentari. Non conosco questo brevetto, ma è comunque molto interessante, anche il fatto che sia italiano può soltanto far piacere».

Abbiamo allora chiesto ulteriori informazioni sulle caratteristiche del nuovo biopolimero direttamente a chi ne detiene il brevetto, ovvero la Bio on.
«Il progetto industriale sarà avviato dal punto di vista quantitativo entro il 2009 e si prevede una produzione di circa 10mila tonnellate come base di partenza» ci ha spiegato Marco Astorri, amministratore delegato di Bio on.

La barbabietola che utilizzate da dove proviene?
«Direttamente dalla cooperativa nostra associata che ne produce 280mila tonnellate l’anno. E noi utilizziamo principalmente gli scarti di produzione, quindi non ci sarà nessuna competizione sul lato alimentare. La tecnologia è poi in grado di utilizzare come base anche la canna da zucchero e siamo già in contatto con paesi produttori di questo prodotto, quali Brasile, Uruguay, Egitto per esportare la tecnologia».

Sul consumo energetico del processo che dati avete?
«In termini specifici ancora non abbiamo una Lca, ma in termini generali posso già dire che i consumi energetici non ci sono, perché partiamo da scarti, quindi non si consuma né acqua né energia per la materia prima; sono direttamente utilizzabili e quindi non c’è bisogno di trasportarli; la produzione del biopolimero è fatta da batteri che trasformano interamente lo zucchero, senza quindi processi tecnologici energivori. E si ottiene un prodotto che ha altissime prestazioni, anche per il fatto che è resistente a temperature più alte rispetto ad altri biopolimeri ed ha anche la caratteristica della stampabilità e di poter essere accoppiato alla carta, elementi di grande interesse dal punto di vista del fine vita».

Sulla biodegradabilità in acqua avete fatto prove su diversi spessori?
«Sì, dalla molecole base sino a quasi un centimetro. E la biodegradabilità si ottiene sempre, con l’unica clausola che il prodotto sia completamente circondato da batteri. Questo lo rende utilizzabile, quindi, anche per contenere liquidi acquosi purché naturalmente non contengano batteri». 
http://brescia.sindacatofials.it