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venerdì 30 agosto 2013

LA CHIAMANO DEMOCRAZIA

di Paolo Cardenà-

Volete destituire governi o regimi? Basta mandargli lo spread a 600 punti. Oppure accusarli di usare il Sarin. Poi poco importa se lo si sia usato davvero o chi lo abbia usato. Basta che si dica che sia stato usato e il gioco è fatto. Lo spread, invece, al contrario del Sarin, non essendo un organofosfato, è più pulito, non inquina, non è tossico e soprattutto non produce vittime o stermini di massa, almeno nell'immediato. Prendete un governo di uno stato indebitato, bombardatelo con lo spread, e avrete ottenuto lo stesso risultato. Lo spread è per veri professionisti ed è  "Politically Correct" . Il Sarin è per criminali o presunti tali. Ma il risultato non cambia. Però il Sarin ha qualcosa in più. Ossia offre anche il casus belli, sbandierato da chi vorrebbe imporre la pace, sotto mentite spoglie.  

Ed è ' così che loro pensano di esportare la democrazia. E lo fanno a suon di cannonate e di missili Tomahawk, da qualche milione di dollari, lanciati da qualche incrociatore. Vorrebbero imporre la pace facendo la guerra. La cosa aberrante è che lo fanno anche arrogandosi il diritto di pensare che le morti da loro indotte, possano essere meno cruente di quelle dei regimi o dei governi che intendono combattere. Come se fossero più nobili. La morte è sempre morte. Sia che derivi quale conseguenza dell'oppressione di un popolo per mano del suo dittatore, sia che derivi da un missile lanciato da un sottomarino. Le guerre non si fanno per imporre la pace o la democrazia, ma perché si ha un interesse, sia esso economico che strategico o politico. La storia ce lo insegna.
 
La democrazia non ha gli stessi connotati per tutti i popoli del mondo, e soprattutto presuppone dinamiche ed equilibri complessi, che variano in ragione ad imponderabili aspetti, circostanze, culture e storie. Ogni popolo ha il diritto (oltre che il dovere) di disegnarsi il perimetro entro il quale esercitare la propria democrazia, dotandola degli elementi più consoni al proprio status, nei modi ritenuti più opportuni e in ragione alle rispettive culture, alle proprie storie e aspirazioni.
 
La democrazia non è standardizzabile. La democrazia non è qualcosa di perfetto. Men che meno esportabile. La democrazia né si compra, né si vende. La democrazia la si conquista e basta: in un percorso perpetuo che non conosce mai fine. Perché la democrazia è sempre perfezionabile. Guardate in giro per il modo, in quei paesi teatro di eventi bellici apparentemente finalizzati ad esportare democrazia e pace. Osservate l'Iraq, l' Afghanistan, la Libia, solo per citare alcuni esempi. Sono tutti paesi che hanno subito pesanti attacchi militari, in nome della democrazia imposta e della pace indotta. Hanno subito cambi di regimi o di governi. Hanno patito morte, distruzione e disperazione. Eppure, ancora oggi, dopo molti anni, tutto sembrano, tranne che democratizzati o pacificati. Ogni popolo ha il diritto di trovare e percorre la propria strada, il proprio destino. E di poterlo fare liberamente, lontano dai precetti imposti da qualsiasi mano apparentemente celeste, come se fosse l'unica depositaria di bene e verità assoluta.
 
Fonte

CAPITALISMO DI SINISTRA

di Paolo Cardenà-

In questi giorni di fine estate sta spopolando la notizia secondo la quale, il sindaco di Torino ed esponente di spicco del Partito Democratico Piero Fassino, nei giorni scorsi, avrebbe  veleggiato nel mar Egeo, in compagnia di Giovanni Bazoli (numero uno di Banca Intesa), a bordo di uno yacht molto lussuoso. Electa, questo il nome del natante battente bandiera britannica e iscritto al prestigioso Yacht Club del Principato di Monaco, è una barca a vela lunga poco meno di 40 metri, che una ristretta cerchia di miliardari può permettersi.
Fassino, per chi non lo ricordasse, è colui che gridava “abbiamo una banca” in occasione della tentata scalata a BNL da parte di Unipol. Passano gli anni, ma le manie restano sempre le stesse, si direbbe.
 
Che poi, verrebbe da chiedersi a cosa servisse, a FASSINO &Co, avere una banca. Io, forse da fesso che sono, non mi sono mai sognato di avere una banca. E che cosa dovrebbe farci un comune mortale con una banca? Semmai, eventualmente, vorrei avere una bella casa, o una bella auto, o cose di questo genere. Cose di cui, peraltro, non mi importa neanche granché.  Ma FASSINO, che voleva una banca tutta per se, oltrepassava i limiti del desiderio cosmico. Cosa mai avrebbe potuto farci, un partito, in questo caso il PD (tanto per cambiare), con una banca come la BNL, poi finita in mani francesi? Semplice rispondere. Avere una banca (ossia, un’altra banca) sarebbe servito a comprare consensi popolari e ad arricchire gli amici degli amici, come è già avvenuto in altre innumerevoli occasioni.
Perchè, non contenti dei soldi estorti ai contribuenti attraverso una tassazione oltre i limiti dell’esproprio, loro vorrebbero anche quelli dei risparmiatori, che comunque presto avranno. Pensate che bello sarebbe avere una banca che produce(va) utili, grazie alle commissioni applicate sui pessimi prodotti di risparmio gestito rifilati a ignari risparmiatori! E gli utili della banca, distratti tramite qualche groviglio societario appositamente creato, destinati a sussidiare qualche iniziativa ludica o benefica, sotto mentite spoglie. Ecco che tu, paesotto di provincia, ti puoi organizzare la tua corsa delle rane, la tua sagra della polpetta di cinghiale e il tuo bel palio. Oppure puoi permetterti anche di mandare la tua squadra di Basket nella massima categoria. Tanto paga pantalone. E i cittadini del paesotto? Tutti felici e contenti a godersi le numerose iniziative promosse dalle amministrazioni locali, finanziate con i soldi della banca, ossia dei risparmiatori. E alla prossima tornata elettorale, tutti a votare l'amministrazione uscente che è stata molto attiva sul territorio, promuovendo innumerevoli iniziative. E ti credo! Con fiumi di denaro a gratis, come non esserlo?
Oppure, per che no? Avere una banca, serve anche per far comprare a debito (ossia senza un quattrino) qualche impresa italiana a qualche imprenditore di ventura. Magari perche la moglie è compagna di terzo, quarto e quinto letto di qualche personaggio politico o di potere. Il quale imprenditore, con una società creata con capitali a debito, controlla un'impresa che produce utili che, a loro volta, vengono destinati a ripagare la banca che gli ha prestato i soldi per comprarsi l'impresa. Il tutto mentre l’impresa, nel frattempo, pezzo dopo pezzo, viene spolpata fino all'osso. E poi chi si è visti si è visti.

Questo, in soldoni, è il capitalismo di sinistra. Che poi, a dircela tutta, quello di destra, non è che sia tanto differente.
Ma manca ancora un pezzo. E se la banca va in difficoltà e rischia di fallire? Nessun problema, ci pensa il contribuente. Monte Paschi docet.

Qualcuno ha scritto che "un'economia senza fallimenti, è come un chiesa senza crocifisso". Ecco, il punto è proprio questo. Ossia, che il fallimento sarebbe indispensabile anche per far piazza pulita da simili personaggi.
Fonte

giovedì 29 agosto 2013

I berlinesi vogliono comprarsi la loro rete elettrica

L'idea è di due giovani tedesche che hanno creato una rete di cittadini che ha raccolto circa 5 milioni di €. La strada è ancora lunga, ma è un buon passo per gestire in modo democratico la transizione verso le energie rinnovabili

 


Due anni fa due giovani tedesche hanno una un’idea straordinaria, assai meno folle di quanto potrebbe sembrare a prima vista: una sottoscrizione popolare per comprare la rete elettrica della città di Berlino, che verrà messa a gara nel 2015. Arwen Colell e Luise Neumann-Cosel hanno così fondato la Bürger Energie Berlin (energia dei  cittadini di Berlino), di cui vedete qui sopra la grafica della home page.

La rete è gestita attualmente dall’azienda svedese Vattenfall, che nonostante il nome (1) non ha alcun interesse a sviluppare le energie rinnovabili. Attualmente la rete di Berlino è alimentata al 90% dal carbone e questo secondo Colell  è del tutto inaccettabile se la Germania vuole raggiungere il suo traguardo di ridurre le emissioni di CO2.
 
Bürger Energie Berlin in meno di due anni ha raccolto oltre mille sottoscrittori con un capitale di 5 milioni di €. Se la strada è ancora molto lunga (il valore della rete è stimato in almeno 800 milioni), l’idea che i cittadini possano prendere il controllo della rete elettrica è di straordinaria importanza perchè permetterebbe id gestire in modo democratico la transizione energetica verso le rinnovabili.

Lasciare questa transizione in mano alla corporations è piuttosto problematico: per il CEO della Vattenfall, l’energia solare è “un mostro portato a terra“. Le grandi aziende dell’energia, E.ON, RWE, Vattenfall e EnBW che fino a qualche hanno fa spadroneggiavano in Germania ora “lottano per la sopravvivenza“. Lo sviluppo di energia eolica e solare (quest’ultima per il 40% nelle mani dei piccoli produttori) ha fatto scendere i prezzi dell’energia ed ha ridotto drasticamente la domanda di energia dalle centrali a gas e carbone possedute dai big.

Non è solo una transizione, ma una vera e propria lotta di classe energetica e dipende anche da noi definire chi sarà il vincitore.

Bürger Energie Berlin è anche su Facebook.

(1) Vattenfall in svedese significa “cascata”
Fonte
http://www.ecoblog.it/post/107905/i-berlinesi-vogliono-comprarsi-la-loro-rete-elettrica

mercoledì 28 agosto 2013

Sarà la guerra in Siria a dare il colpo di grazia all’economia europea?


by Arnaldo Vitangeli

Francia, Uk e Usa sembrano non avere dubbi, il 21 agosto in Siria il regima baathista di Assad avrebbe usato massicciamente gas letali sui civili, passando la “linea rossa” stabilita dall’Occidente e dunque imponendo al “mondo libero” di rispondere con le armi.

I dubbi sulla veridicità di queste affermazioni sono molti, a cominciare dalle foto satellitari, scattate dai russi e consegnate all’Onu, che mostrerebbero come l’attacco chimico proverrebbe da una zona sotto pieno controllo dei ribelli, a immagini delle vittime civili fotografate un giorno prima della data del presunto attacco con le armi proibite. I precedenti poi non promettono nulla di buono; chi non ricorda la pantomima sulle famose armi di distruzione di massa di Saddam, della cui esistenza gli Usa affermavano di avere prove inconfutabili (rivelatesi poi dei consapevoli falsi) o delle fosse comuni usate come pretesto per attaccare la Libia e rivelatesi poi normali cimiteri?

Va detto peraltro che Assad dovrebbe essere davvero idiota per utilizzare, proprio ora che sta vincendo su tutti i fronti e all’indomani di una possibile conferenza di pace, gas letali sui civili siriani in quella che la stampa ha spesso descritto come una lotta del popolo contro il dittatore ma che, nei fatti, è una guerra per procura fatta da mercenari stranieri pagati da Arabia Saudita e Qatar e addestrati e armati da Usa, Francia e UK, i quali, peraltro, se andassero al potere applicherebbero una teocrazia islamica, nemica mortale degli stessi stati Paesi Occidentali che l’hanno armata.

Tuttavia secondo alcuni, tra cui l’autorevole blog corrieredellacollera.com di Antonio de Martini, dietro i tamburi di guerra potrebbe non esserci una vera intenzione di attaccare la Siria, quanto la volontà di arrivare alla conferenza di pace con il “colpo in canna”, mettendo sotto pressione psicologica il nemico e quindi rendendolo più malleabile.

Qualora ci fosse, comunque, un attacco alla Siria potrebbe avere sostanzialmente due tipologie: guerra lampo o conflitto su ampia scala.

La prima ipotesi è quella che le cancellerie occidentali starebbero prendendo in considerazione, ossia bombardamenti navali, (da debita distanza) su alcuni obbiettivi militari. Un’operazione del genere avrebbe poche conseguenze da un punto di vista del conflitto in corso e sarebbe sostanzialmente un atto simbolico, in quanto (come sottolineato dallo stesso de Martini), il regime potrebbe spostare i suoi aerei e armamenti in Paesi alleati dell’area, minimizzando gli effetti del bombardamento.

Un simile attacco tuttavia consentirebbe a Obama di distrarre l’opinione pubblica americana dagli insuccessi della sua politica estera in Medio Oriente e di dare un segno di forza. Sarebbe in pratica sostanzialmente uno spot il cui costo economico, limitato, risulterebbe totalmente a carico degli Usa.

Tutto questo, ovviamente, a patto che la Siria non reagisca, ma laddove gli aerei di Assad portassero una contro-offensiva su qualche base occidentale dell’area (ad esempio Cipro) si arriverebbe a un immediato e imprevedibile allargamento del conflitto, con conseguenze economiche disastrose, specialmente per la comatosa economia europea. Damasco, infatti, può contare su due potenti alleati nella regione, Hezbollah e l’Iran, ed è quest’ultimo Paese il vero obbiettivo degli americani che, attraverso la costruzione in laboratorio della “rivolta” siriana, si vuole colpire. Dunque in caso di un allargamento del conflitto che coinvolga anche Teheran lo scenario sarebbe quello di una guerra lunga, difficilissima e costosissima.

Ma oltre ai costi, umani e materiali, del conflitto (costi che l’Europa e l’Italia in particolare forse non sarebbero chiamati a pagare, se come è auspicabile non partecipassero direttamente alle operazioni belliche ma si limitassero a fornire basi e supporto logistico) ci sarebbe per il vecchio continente (Italia in primis) un inevitabile quanto gravoso costo indiretto, ossia l’impennata del prezzo del greggio.

L’Europa infatti dipende in buona parte dal petrolio mediorientale per alimentare le sue industrie (che già ora sono preda di una crisi drammatica) così come per i consumi energetici dei suoi cittadini (anch’essi in crisi di liquidità e fortemente impoveriti) e l’Italia in particolare è uno dei paesi meno indipendenti energeticamente e più colpiti dalla crisi. Un forte aumento del prezzo del greggio, che potrebbe durare anni, colpirebbe in maniera durissima l’economia del nostro Paese.

L’aumento del costo del petrolio, infatti, renderebbe, in un contesto economico già difficilissimo, meno competitive le nostre merci, contribuendo alla chiusura di imprese e all’aumento della disoccupazione, la quale, unita ai maggiori costi per i cittadini per benzina e altri prodotti petroliferi, diminuirebbe la capacità di spesa della gente, ossia la domanda aggregata. La diminuzione dei consumi porterebbe alla chiusura di altre aziende, dunque a nuovi disoccupati e a un’ulteriore diminuzione della possibilità di acquistare beni e servizi nel più classico dei circoli viziosi. In pratica, a livello economico, una “tempesta perfetta” su una nave che già ora sta a galla per miracolo.

Gli Usa, dal canto loro, non sono affatto ansiosi di una nuova guerra mediorientale, essendo stato il costo di quella irachena esorbitante. Secondo uno studio della Brown University infatti la seconda guerra in Iraq sarebbe costata circa 6000 miliardi tra i costi diretti, i costi per assistenza medica dei feriti e invalidi e gli interessi sul debito pubblico emesso per finanziare le operazioni belliche. In pratica 100 volte i 60 miliardi preventivati da Bush prima dell’attacco. Una guerra totale in medio oriente, che rischia di innescarsi con l’attacco alla Siria, avrebbe costi molto maggiori, e insostenibili per un Paese come gli Usa, gravati da un debito pubblico enorme.

Eppure ancora una volta è nell’economia che vanno trovate le ragioni dell’atteggiamento bellicoso degli americani, e in particolare nella politica di “quantitative easing” promossa dalla FED per dare respiro agli Usa colpiti dall’esplosione della bolla finanziaria.

Per sostenere l’economia, infatti, la banca centrale americana ha iniziato a stampare una immensa quantità di dollari da immettere nel sistema. Perché il gioco funzioni, tuttavia, è necessario che il dollaro mantenga il suo ruolo di moneta internazionale, ruolo che oggi è garantito esclusivamente dal fatto che le transazioni mondiali di greggio avvengono con la valuta americana. Qualora questo privilegio terminasse la montagna di dollari stampati dalla FED sarebbe soggetta a una fortissima svalutazione, specialmente nei confronti dell’euro che, differentemente dal dollaro, non viene stampato a gogò per tamponare i debiti.

E’ quindi ancora una volta il ruolo internazionale del dollaro e la politica monetaria degli Usa alla base dell’instabilità globale e della minaccia di nuove e terribili guerre.

martedì 27 agosto 2013

ITALIA DEL SUD: GENOCIDIO DA TERREMOTO ANNUNCIATO

di Gianni Lannes






Elementare Watson: due più due fa quattro. Che succede se più di qualcuno trivella dei vulcani attivi nel Mediterraneo a ridosso delle coste d’Italia? Cosa accade se si sconquassano le sorgenti sismogenetiche, vale a dire faglie o sistemi di faglie sismiche attive?


La scienza non ha dubbi in proposito: si originano,  o se preferite si causano terremoti, maremoti e tsunami. Sempre che i giochi di guerra della NATO non combinino disastri prima.


Forse, non sarà un caso né tantomeno allarmismo gratuito se più di un esperto accademico, perfino in audizione parlamentare, e in aggiunta nientedimeno che il capo della protezione Civile Franco Gabrielli in persona, annunciano all’unisono un terremoto distruttivo che annienterà il Mezzogiorno.

 
Se la Protezione Civile acquista migliaia di prefabbricati da destinare alle popolazioni colpite da calamità è sempre un caso, oppure una singolare coincidenza? Se i terremoti per la scienza sono imprevedibili – quando di origine naturale – allora come si fa ad annunciarli con largo o se non sapendo che hanno una genesi artificiale, ovvero, sono provocati volontariamente dalla mano dell’uomo per calcolo, interessi economici e sete di dominio?

 
Una cosa è certa: ora, adesso stanno trivellano a più non posso i Campi Flegrei, ossia l’area sismica più esplosiva dello Stivale, e, contemporaneamente il vulcano attivo Marsili (il più grande d’Europa) che si trova sott’acqua, nel Tirreno meridionale, di fronte alle coste di Sicilia, Calabria e Campania. E’ tutto apparentemente in regola: ci sono le solite autorizzazioni dello Stato tricolore.  

il vulcano Marsili
Autorità, istituzioni e scienziati danno i numeri: la Protezione Civile, addirittura ha calcolato numero di morti e feriti per ogni città del Meridione. Perché?


Il lancio dell’agenzia giornalistica recita: « L’obiettivo è ambizioso: sfruttare l’energia che si sviluppa dal vulcano Marsili, vicino all’arcipelago delle Eolie. Il progetto è di una societa’ marchigiana specializzata in ingegneria naturalistica, nel settore delle opere civili e delle infrastrutture, la Eurobuilding di Servigliano (Fermo) e si chiama ‘Marsili Project’. Punta a utilizzare l’energia geotermica che si puo’ sviluppare dal vulcano che si trova nelle profonde acque del mar Tirreno meridionale… Un vulcano sottomarino, il piu’ grande d’Europa: 60 chilometri di lunghezza, 20 chilometri di larghezza, un’altezza di 3.800 metri, con una sommita’ che sta a 400 metri sotto la superficie dell’acqua. La possibilita’ dello sfruttamento del vulcano per creare energia geotermica nasce dall’idea del professor Patrizio Signanini dell’Universita’ ‘Gabriele D’Annunzio’ di Chieti, che ha trovato nella Eurobuilding un partner industriale interessato a svilupparla. Il ‘Marsili Project’, afferma Paltrinieri, ”e’ il primo esempio al mondo di valorizzazione di energia geotermica sottomarina. L’obiettivo e’ produrre energia elettrica sfruttando il campo geotermico formato dal piu’ grande vulcano d’Europa. Quest’area, infatti, e’ una delle zone piu’ ricche di giacimenti di fluidi geotermici al mondo. I numerosi vulcani presenti nel Tirreno meridionale, al largo delle coste siciliane, calabresi e campane, sono enormi sorgenti di calore”.

foto di Ruben Garbellini (tutti i diritti riservati)
 

Conseguenze sismiche - Si tratta  in questo caso di terremoti con ipocentro superficiale. Il bollettino dell’Istituto Nazionale di geofisica e Vulcanologia parla chiaro: «Un terremoto di magnitudo(Ml) 2.4 è avvenuto alle ore 05:59:18 italiane del giorno 16/Giu/2013 (03:59:18 16/Giu/2013 – UTC). Il terremoto è stato localizzato dalla Rete Sismica Nazionale dell’INGV nel distretto sismico: Tirreno_meridionale_B. Coordinate : 38.761°N, 14.285°E Profondità: 28.2 km. Distretto sismico Tirreno_meridionale_B».
E ancora: «Un terremoto di magnitudo(Ml) 2.1 è avvenuto alle ore 22:31:30 italiane del giorno 15/Giu/2013 (20:31:30 15/Giu/2013 – UTC). Il terremoto è stato localizzato dalla Rete Sismica Nazionale dell’INGV nel distretto sismico: Madonie. Coordinate:  37.872°N, 14.248°E. Profondità:  5.9 km Distretto sismico: Madonie. Comuni entro i 10 Km: GANGI (PA), GERACI SICULO (PA), SAN MAURO CASTELVERDE (PA), CASTEL DI LUCIO (ME). Comuni tra 10 e 20 km: BOMPIETRO (PA), CASTELBUONO (PA), PETRALIA SOPRANA (PA), PETRALIA SOTTANA (PA), POLLINA (PA), MISTRETTA (ME), MOTTA D’AFFERMO (ME), PETTINEO (ME), REITANO (ME), SANTO STEFANO DI CAMASTRA (ME), TUSA (ME), NICOSIA (EN), SPERLINGA (EN)».
I terremoti (naturali o artificiali) si possono fronteggiare soltanto con la prevenzione, attualmente però, pari allo zero. Prepariamoci al peggio nel Belpaese di carta velina.
 
riferimenti:
http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/search?q=gabrielli
fonte:
 






La voragine della Louisiana cresce e inghiotte alberi due volte in poche ore. I video


In questi giorni ha compiuto un anno l’imbuto della Louisiana, un disastro al rallentatore causato dallo sfruttamento del sottosuolo. Credo di essere stata la prima a parlarne in Italia. Proprio come se fosse un bambino piccolo, l’imbuto cresce a vista d’occhio, mangia con appetito – ieri ha inghiottito alberi ed oggi di nuovo – e fa i ruttini. I geologi li chiamano proprio così. Solo che ad ogni ruttino escono dal sottosuolo 20-100 barili di petrolio (foto) e una non meglio specificata quantità di gas.
Ormai non è più solo un imbuto. E’ una voragine, un lago velenoso e puzzolente ampio 10 ettari e profondo, boh: non si sa. Come è potuto accadere? Dopo il continua ci sono i due video degli alberi inghiottiti in altrettante occasioni nel giro di poche ore e le spiegazioni.
Tutto nasce dal fatto che lì, a 3.000 metri di profondità e sotto uno strato di idrocarburi, c’era una cupola di sale che è stata in gran parte dissolta iniettandovi acqua dolce ed estraendo acqua salmastra, la materia prima per produrre sostanze tipo candeggina, soda caustica e simili. La cupola, dopo essere stata sfruttata e svuotata, è collassata. In corrispondenza, in superficie, si è formato il lago – o l’imbuto – che erutta gli idrocarburi con i quali entra in contatto nel sottosuolo
Qui sotto c’è il primo video degli alberi inghiottiti ieri. Si sapeva che anche in precedenza l’imbuto aveva risucchiato alberi, ma nessuno era riuscito a filmare l’evento. Accade tutto all’inizio, molto velocemente. Occhio perchè la prospettiva della ripresa non cambia: è la terra che scivola verso il basso.


Ed ecco il secondo “pasto” avvenuto poche ore più tardi: un albero va giù come una pera. Noterete che le immagini sono girate da un pontile di legno direttamente affacciato sul lago-imbuto. Non so chi, e in base a cosa, abbia stabilito che è sicuro stare lì sopra e posteggiarci per giunta l’auto.


Lo Stato della Louisiana ha fatto causa alla società che ha iniettato ed estratto acqua nella cupola sotterranea di sale, la Texas Brine. Quest’ultima ritiene che la responsabilità sia di altre tre società, cui ha a sua volta fatto causa.

Alle circa 350 persone che abitavano nelle vicinanze è stato ordinato già un anno fa di abbandonare le rispettive case (qualcuno è rimasto perchè non sa dove andare): non sanno se potranno mai ritornare. Nessuno è in grado di dire fino a quando il lago-imbuto continuerà a crescere, a inghiottire alberi e a sputare idrocarburi: non solo petrolio ma anche gas, che ha inquinato la falda sotterranea d’acqua. Ci vorranno presumibilmente anni prima che la situazione legata al collasso della caverna sotterranea trovi una qualche stabilità.

La foto è ©2013 Julie Dermansky per DeSmog Blog

Fonte
http://blogeko.iljournal.it/la-voragine-della-louisiana-cresce-e-inghiotte-alberi-due-volte-in-poche-ore-i-video/75954



giovedì 22 agosto 2013

La Giordania combatterà la sete con un canale tra il Mar Rosso e il Mar Morto

 

L’ambizioso progetto del governo giordano si propone di eliminare la scarsità d’acqua e il restringimento del “mare chiuso”. Amman:”Abbiamo la possibilità di ovviare ad entrambi i problemi senza dover trovare un accordo con Israele”.



Asianews - La Giordania stanzierà 980 milioni di dollari per garantire al Paese una fornitura di 100 milioni di metri cubi d'acqua annui. Lo ha annunciato ieri il Primo ministro, Abdullah Nsur, spiegando che "dopo anni di studi politici, economici e geologici, il governo giordano ha deciso di approvare il progetto che prevede un collegamento tra il Mar Rosso il Mar Morto" . Per supplire alla scarsità d'acqua nella regione e per contrastare il restringimento del Mar Morto il governo giordano preleverà acqua marina dal Golfo di Aqaba, nel Mar Rosso settentrionale, e la trasporterà lungo il confine israeliano fino a raggiungere il "mare chiuso", dove sarà installato un impianto di desalinizzazione. "L'acqua desalinizzata sarà reindirizzata nell'area di Aqaba, mentre quella salata sarà impiegata per ingrossare la portata del Mar Morto", ha poi spiegato il premier. Il problema della scarsità d'acqua è comune alle regioni meridionali di Israele e Giordania. In un primo tempo, i due Paesi più la Palestina si erano accordati per finanziare un acquedotto da 11 miliardi di dollari volto a rifornire il Mar Morto di acqua salata e le regioni limitrofe di acqua potabile. "L'eccessivo costo del progetto precedente ha indotto il nostro governo a optare per questa seconda opzione - ha spiegato Hazem Nasser, ministro delle Risorse idriche giordano - non abbiamo alternativa, potremo rivitalizzare il Mar Morto ottenendo acqua potabile e non avremo bisogno di trovare un accordo con Israele".
Il Primo ministro Nsur ha poi aggiunto che "le autorità giordane hanno preso in considerazione l'ipotesi di vendere acqua desalinizzata ad Israele per comprare acqua dolce ad un prezzo di tre volte inferiore dal Lago Tiberiade". Il restringimento del Mar Morto è un fenomeno avviatosi negli anni '60, quando Siria, Israele e Giordania iniziarono a deviare il corso del fiume Giordano per soddisfare le proprie necessità di risorse idriche. Gli scienziati pronosticano che il prosciugamento del mare chiuso più salato al mondo sarà compiuto entro il 2050 e ciò comporterà gravi problemi di siccità nelle regioni desertiche di Israele e Giordania.

http://www.laperfettaletizia.com/2013/08/la-giordania-combattera-la-sete-con-un_21.html

mercoledì 21 agosto 2013

E' ufficiale: 100 terremoti provocati dal fracking in Ohio

Gli eventi sismici avvenuti tra il 2011 e il 2012 sono correlati alle attività del pozzo NS1 adiacente alla città di Youngstown, Ohio in quanto avvenuti in concomitanza con l'aumento della pressione sotterranea dovuta allo stoccaggio dei fanghi di perforazione

 


Il legame tra attività di fracking e terremoti è confermato da un’analisi sismologica apparsa recentemente sul Journal of Geophysical Research; lo studio riguarda l’area di Youngstown nell’Ohio e rappresenta un’ulteriore conferma dell’impatto ambientale del fracking dopo quanto emerso già in New Mexico e Colorado.
Tra il gennaio 2011 e il febbraio 2012 sono avvenuti nell’area oltre 100 terremoti di piccola scala (magnitudo da 0,4 a 3,9 (1)). Nell’immagine in alto sono indicati in rosso gli epicentri dei principali eventi sismici, tutti collegabili al pozzo Northstar #1 scavato nell’immediata periferia della città di Youngstown. E’ tra l’altro assolutamente incredibile che sia stato permessa una perforazione in un luogo così prossimo al centro abitato come è possibile vedere dalla mappa in fondo al post (2).
Il pozzo incriminato non era un pozzo produttivo, ma un pozzo di stoccaggio dei fanghi di perforazione del fracking effettuato in Pennsylvania. I ricercatori hanno anche correlato temporalmente il verificarsi dei terremoti con i maggiori incrementi della pressione sotterranea, mentre i periodi di calma sismica sono quelli collegati alla minore pressione.


(1) La scala Richter è logaritmica, per cui aggiungendo 1 alla magnitudine, l’energia liberata dal sisma viene moltiplicata circa per 30.
(2) Entrambe le mappe di questo post provengono da uno studio preliminare dell’Ohio Department on Natural Resources, più chiare di quelle presenti nell’articolo che sono in bianco e nero.

Fonte:



 

M6.1 - GUERRERO, MEXICO

 

Preliminary Earthquake Report

Magnitude
6.1

Date-Time

  • 21 Aug 2013 12:38:33 UTC
  • 21 Aug 2013 05:38:33 near epicenter
  • 21 Aug 2013 13:38:33 standard time in your timezone

Location
17.008N 99.355W

Depth
34 km

Distances

  • 18 km (11 mi) NW of Ayutla de los Libres, Mexico
  • 23 km (14 mi) N of San Marcos, Mexico
  • 30 km (18 mi) SE of Tierra Colorada, Mexico
  • 59 km (36 mi) ENE of Acapulco de Juarez, Mexico
  • 268 km (166 mi) S of Mexico City, Mexico

Location Uncertainty
Horizontal: 10.8 km; Vertical 2.7 km

Parameters
Nph = 100; Dmin = 103.8 km; Rmss = 1.43 seconds; Gp = 116°
Version = C

Event ID
us b000j83t

For updates, maps, and technical information, see: Event Page or USGS Earthquake Hazards Program
National Earthquake Information Center
U.S. Geological Survey
http://earthquake.usgs.gov/regional/neic/

Fabrizio Pedroni, (il Proprietario di Firem): L’Orgoglio di un Uomo Libero (Post Fondamentale)

 

Firem Fabrizio Pedroni, (il Proprietario di Firem): LOrgoglio di un Uomo Libero (Post Fondamentale)

Nota di Rischio Calcolato: vi consiglio di leggere con attenzione quanto ha da dire Fabrizio Predoni, il padrone di Firem che ha deciso di delocalizzare in Polonia. Sembra di rileggere un rissunto di quanto scriviamo su Rischio Calcolato da 4 anni. Peccato che a parlare qui non sia solo un blogger, ma un produttore di ricchezza che dal 26 Agosto pagherà stipendi e pensioni e welfare ai polacchi.

Fabrizio Pedroni prima di essere un imprenditore è una persona libera, e alle sue parole:

«Io non sono tenuto a dare conto su dove voglio spostare i miei macchinari. Quando voglio fare un trasloco in casa mia non è che devo chiedere ad altri».

ho capito che c’è ancora speranza in questo paese e ci sarà fino a quando esisteranno persone come  Fabrizio Pedroni Auguro di cuore alla famiglia Pedroni di produrre e prosperare, alla faccia di politici, sindacalisti e sussidiati italiani. A proposito, pare che il Movimento 5 Stelle non sia riuscito a resistere: porterà il caso Firem in Parlamento. Altri soldi sprecati per discutere del nulla mentre altre Firem se ne stanno andando.

Gli operai Firem davanti ai cancelli vuoti stanno ricevendo pelosi attestati di solidarietà bipartisan sia da PD che dal PDL ( e dall’M5s che ci ha messo su il carico da novanta, ma bravi), mi chiedo se si rendono conto di essere pure loro vittime dei parassiti italiani.

dal Resto del Carlino (intervista da stampare e riporre nel cassetto)

Modena, 17 agosto 2013 – «Sui giornali date retta solo ai sindacati. Ma lo volete capire o no che in Italia ormai ci sono più aziende che si trasferiscono di quelle che rimangono?». E’ imbufalito Fabrizio Pedroni, titolare della Firem di Formigine, protagonista di una delocalizzazione lampo in Polonia che sul territorio ha lasciato interdetti e ha provocato la rivolta degli operai. Ora riuniti in presidio permanente davanti a una fabbrica svuotata improvvisamente dei macchinari poco prima del ponte di Ferragosto. Raggiunto al telefono all’estero, l’imprenditore si scalda.

Pedroni, ve ne siete andati senza dire nulla a nessuno.
«Ma smettetela di dare retta solo ai sindacati. L’Italia sta affondando e saranno sempre di più le aziende che si trasferiranno all’estero. Proprio a causa dei sindacati, della burocrazia, delle tasse e di una sistema creditizio bancario che è vergognoso».

Delocalizzare è ovviamente possibile, ma non era doveroso avvertire prima i lavoratori?
«Ho letto che avete parlato di una ‘fuga’. Ma chi è fuggito? Sono qui».

Beh, siete state velocissimi a smontare i macchinari e andarvene.
«Io non sono tenuto a dare conto su dove voglio spostare i miei macchinari. Quando voglio fare un trasloco in casa mia non è che devo chiedere ad altri».

Al di là dei macchinari, ci sono dei rapporti di lavoro in essere con i dipendenti.
«A me dispiace per le persone e per le loro famiglie, è chiaro, ma su questo aspetto non voglio dire nulla, se ne parlerà al massimo martedì al tavolo. A proposito, ho visto tanta solidarietà dalle istituzioni, ma come mai hanno convocato il tavolo solo martedì prossimo? Forse perché bisogna ancora far prima qualche giorno di ferie e di mare. E poi è intervenuto anche il sindaco di Formigine: quando ho avuto bisogno io di lui per migliorare la mia attività (ricordo che era con l’assessore) per un’autorizzazione edilizia mi è stato risposto di no in maniera brusca e mi hanno detto in pratica di arrangiarmi».

Lei ce l’ha con il sistema Italia, però adesso il conto lo pagheranno i lavoratori.
«Davanti ai cancelli nelle foto ho visto dipendenti che per motivi vari non vengono a lavorare da anni o che neanche fanno parte dell’azienda. Tra l’altro hanno bloccato un nostro camion, non so se se ci saranno ripercussioni giudiziarie su questo. Piuttosto c’è una domanda che nessuno ci rivolge e sarebbe l’unica da fare».

Qual è?
«Chiuderà o no la Firem?».

In che senso? A Formigine comunque chiuderà e si trasferirà in Polonia.
«Eh no, guardi che non ci sono solo gli operai in un’azienda, ci sono anche gli impiegati, i tecnici. E tra l’altro abbiamo anche alcuni operai italiani che verranno a lavorare in Polonia».

Gianpaolo Annese

http://www.rischiocalcolato.it/2013/08/fabrizio-pedroni-il-proprietario-di-firem-lorgoglio-di-un-uomo-libero-post-fondamentale.html

Gianni Lannes: “Ecco chi ha ucciso Aldo Moro”

 

di Gianni Lannes

In Italia qualcuno se n’è accorto? O meglio a qualcuno interessano democrazia, libertà e indipendenza politica? Steve Pieczenik inviato in missione da Washington, dopo 30 anni ha vuotato il sacco: 

«Ho messo in atto la manipolazione strategica che ha portato alla morte di Aldo Moro al fine di stabilizzare la situazione dell’Italia. I brigatisti avrebbero potuto cercare di condizionarmi dicendo “o soddisfate le nostre richieste e lo uccidiamo”. Ma la mia  strategia era “No, non è così che funziona, sono io a decidere che dovete ucciderlo a vostre spese”. Mi aspettavo che si rendessero conto dell’errore che stavano commettendo e che liberassero Moro, mossa che avrebbe fatto fallire il mio piano. Fino alla fine ho avuto paura che liberassero Moro. E questa sarebbe stata una grossa vittoria per loro». 

lo statista Aldo Moro ed il criminale del Bilderberg Group Henry Kissinger

Kissinger & Napolitano – foto quirinale.it

Pieczenik, assistente del sottosegretario Usa nel 1978, psichiatra, specialista in “gestioni di crisi”, esperto di terrorismo, visse – secondo quanto ha rivelato in un libro-intervista pubblicato nel 2008 “Abbiamo ucciso Aldo Moro. Dopo trent’anni un protagonista esce dall’ombra” edito in Italia da Cooper e curato da Nicola Biondo e passato stranamente inosservato – gomito a gomito con Francesco Cossiga la parte cruciale dei 55 giorni. Era lui, “l’esperto nordamericano del Dipartimento di Stato U.S.A. che indirizzò e gestì l’azione dello Stato italiano con le Br. La sua presenza al Viminale è stata interpretata, da molti, negli scorsi anni, come una sorta di “controllo” Usa sulla vicenda che coinvolgeva un Paese all’epoca decisivo negli equilibri Est-Ovest. 

L’inviato della Casa Bianca, Pieczenik spiega e rivendica la scelta di aver finto di intavolare una trattativa con le Br quando invece «era stato deciso che la vita dello statista era il prezzo da pagare». L’esperto Usa va anzi oltre nelle sue rivelazioni: da un certo punto in poi tutta la sua azione mirò a far sì che le Br non avessero altra via d’uscita che uccidere Moro, fatto questo che avrebbe risolto la gran parte dei problemi che rischiavano di far conquistare all’Italia libertà, sovranità e indipendenza dagli Stati Uniti d’America. 

«La mia ricetta per deviare la decisione delle Br era di gestire – spiega nel libro lo psichiatra – un rapporto di forza crescente e di illusione di negoziazione. Per ottenere i nostri risultati avevo preso psicologicamente la gestione di tutti i Comitati (del Viminale n.d.r.) dicendo a tutti che ero l’unico che non aveva tradito Moro per il semplice fatto di non averlo mai conosciuto». 

Nel libro del giornalista francese Emmanuel Amara si spiega che il momento decisivo arrivò quando Moro dimostrò di essere ormai disperato. Su quella base si decise l’operazione della Duchessa, ossia il falso comunicato delle Br, scelta questa presa nel Comitato di crisi. «I brigatisti non si aspettavano di trovarsi di fronte ad un altro terrorista che li utilizzava e li manipolava psicologicamente con lo scopo di prenderli in trappola. Avrebbero potuto venirne fuori facilmente, ma erano stati ingannati. Ormai non potevano fare altro che uccidere Moro. Questo il grande dramma di questa storia. Avrebbero potuto sfuggire alla trappola, e speravo che non se ne rendessero conto, liberando Aldo Moro. Se lo avessero liberato avrebbero vinto, Moro si sarebbe salvato, Andreotti sarebbe stato neutralizzato e i comunisti avrebbero potuto concludere un accordo politico con i democristiani. Uno scenario che avrebbe soddisfatto quasi tutti. Era una trappola modestissima, che sarebbe fallita nel momento stesso in cui avessero liberato Moro». 

Pieczenik spiega che Cossiga ha approvato la quasi totalità delle sue scelte e delle sue proposte. «Moro, in quel momento, era disperato e avrebbe sicuramente fatto delle rivelazioni piuttosto importanti ai suoi carcerieri su uomini politici come Andreotti. E’ in quell’istante preciso che io e Cossiga ci siamo detti che bisognava cominciare a far scattare la trappola tesa alle Br. Abbandonare Moro e fare in modo che morisse con le sue rivelazioni. Per giunta i carabinieri e i servizi di sicurezza non lo trovavano o non volevano trovarlo». 

Pieczenik traccia un bilancio di questa sua strategia: «Ho messo in atto la manipolazione strategica che ha portato alla morte di Moro al fine di stabilizzare la situazione dell’Italia. Mai l’espressione ‘ragion di Stato’ ha avuto più senso come durante il rapimento di Aldo Moro in Italia».

Pieczenik raggiunse tre obiettivi: eliminare Moro, impadronirsi dei nastri dell’interrogatorio e del vero memoriale dello statista italiano, costringere le Br al silenzio.

Un passo indietro: durante il viaggio negli Stati Uniti del settembre 1974Kissinger minacciò pesantemente Moro, come ha ricordato in un’aula giudiziaria il suo portavoce Corrado Guerzoni. Ed è bene non dimenticare la testimonianza della moglie di Moro, che riferì alla Commissione parlamentare che cosa dissero al marito esponenti della delegazione americana: “… Lei deve smettere di perseguire il suo piano politico di portare tutte le forze del suo paese a collaborare direttamente. Qui, o lei smette di fare questa cosa, o lei pagherà cara, veda lei come la vuole intendere”.

Dunque, niente più misteri, però ancora un bel po’ di carte inaccessibili nei palazzi del sottomesso Stato tricolore. 

Com’è possibile che il Presidente della Repubbblica Napolitano riceva con gli onori riservati ad un capo di Stato il criminale internazionale Henry Kissinger?Auguriamoci che il primo ministro Enrico Letta in palese conflitto di interessi, affiliato al Bilderberg Group, alla Trilateral Commission ed all’Aspen Institute, vale a dire ad organizzazioni mafiose e terroristiche di stampo mondiale, eviti qualche commemorazione di Moro.

Toc toc: c’è almeno un giudice a Berlino, non dico a Maglie o perfino a Roma che possa riaprire le indagini ed avanzare qualche rogatoria internazionale su questa ennesima operazione di guerra terroristica del Governo nordamericano?I reati di strage (via Fani) e di omicidio premeditato non vanno mai in prescrizione. O valgono sempre i trattati segreti ed incostituzionali?

riferimenti:

http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/search?q=moro

http://www.youtube.com/watch?v=TOVrxtHKnOM

Fonte: sulatestagiannilannes.blogspot.it

martedì 20 agosto 2013

Femminicidio: la nuova legge approvata alla Camera ma i delitti non sono in aumento e in Europa si uccide più che in Italia

Questo ottimo articolo dell’amico giornalista Furio Stella, dimostra con dati alla mano, che il tanto pubblicizzato "femminicidio" rientra nelle armi di distrazione di massa usate dai media mainstream: notizie inventate o amplificate per distogliere l'attenzione dei sudditi dalle cose veramente serie e importanti.

Il decreto legge sul femminicidio approda (oggi) alla Camera per la sua approvazione. Sul tavolo,  il  pacchetto di nuove norme varate d’urgenza dal governo che prevedono pene più severe (arresti in flagranza, querela irrevocabile, aggravanti per coniuge e compagno anche non conviventi, etc.) per contrastare l’ondata di delitti, praticamente uno ogni tre giorni, che dall’inizio dell’anno hanno una donna come vittima.
Sul fenomeno - omicidi efferati, dunque particolarmente odiosi e inaccettabili in un contesto civile -  si sono mobilitati in tanti. Peccato che in tanta mobilitazione sia mancato l’elemento più importante sul piano dell’informazione, e cioè i dati.
Il ministero dell’Interno, che sarebbe il primo deputato a fornirne, non ne ha. Il chè è già un dato preoccupante. Quei pochi che ci sono provengono o da data-base giornalistici, o dall’Istat (ma sono fermi al 2009), o da qualche istituto di ricerca indipendente come l’Eures. Pochi ma buoni? Se sì, è sorprendente come i dati a disposizione dicano cose diverse da quella che è la percezione del fenomeno. Nel senso che, nonostante quello che possa far supporre l’amplificazione data dai media, non è assolutamente vero che il 2013 (81 le vittime dall’inizio dell’anno fino a oggi) sia una sorta di anno record per quanto riguarda i femminicidi.
Né che questi ultimi siano in qualche misura aumentati rispetto agli anni scorsi. Dai giornali, difatti, si apprende che nel 2012 le donne uccise in Italia (nel 75% dei casi dal partner o dall’ex partner, e al 63% fra le mura di casa) sono state 124, e 137 nel 2011. Secondo l’Istat, le cui statistiche coprono il periodo dal 1992 al 2009, i femminicidi sono passati da 186 (1992) a 131 (2009), il che farebbe pensare a un fenomeno addirittura in calo.
In realtà non è nemmeno così, perché nel periodo sono presenti oscillazioni che, secondo l’Eures, vanno da 98 (i minimi storici di delitti verificatisi nel 2005 e nel 2007) ai 199 del 2000, anno record in negativo dell’ultimo ventennio. Insomma, a spanne i dati indicano che si tratta di un fenomeno costante nel tempo, e con una media che si attesta più o meno sui 120 casi l’anno, dunque 10 al mese. Ossia circa dieci volte di meno delle donne suicide o dei morti sul lavoro, per arginare i quali non risultano provvedimenti legislativi in arrivo.
Detto della differenza fra i fatti e la loro percezione - fenomeno sociologicamente tutt’altro che nuovo quando si ha a che fare con il tam-tam di giornali e tv - dai dati reali arriva un’altra fragorosa smentita, e cioè l’analisi secondo cui alla base dell’ondata di femminicidi nel nostro paese ci sia il maschilismo degli italiani. Frutto, sempre secondo la vulgata, non solo di mamme iperprotettive o castranti, ma più in generale di una società maschilista (la pubblicità osèe, la donna oggetto, le discriminazioni sul lavoro) ancora imbevuta di quella non-cultura per la quale per esempio fino al 1981 era ancora valido nel nostro codice penale il delitto d’onore che di fatto “derubricava” l’uccisione del partner fedifrago con pene da 3 fino a un massimo di 7 anni (praticamente come dare fuoco a uno scooter…).
Oddio, il discorso in generale è vero, se è vero che sono un milione e mezzo le donne italiane che hanno denunciato violenze dei loro partner, e che secondo magistratura e forze dell’ordine rappresenterebbero solo la punta dell’iceberg (il 6-7%) delle violenze di genere. E’ anche vero però che se paragoniamo l’Italia con gli altri paesi europei, i dati dicono un’altra cosa. E cioè che si uccidono molte più donne in Francia, in Germania e anche nella Svezia culla dell’emancipazione femminile. Secondo l’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, difatti in Germania negli anni Ottanta i femminicidi erano il doppio che in Italia.  Mentre il paese europeo dove si ammazzano più donne è di gran lunga sapete chi? La Finlandia, in media 4-5 volte più che da noi. E dove, sempre in proporzione al numero degli abitanti, vantano anche il poco esaltante record europeo degli omicidi maschili. Dal che si deduce: o il maschio italiano non è affatto maschilista. O, se lo è, lo è meno dei suoi colleghi europei.

Fonte

Lo faranno di nascosto. E sarà ancora più miseria, tagli, fallimenti, disoccupazione.

Lo faranno di nascosto, tu non saprai nulla, e per noi italiani, oltre che per molti altri, saranno ancor più miserie sociali, tagli a tutti i servizi, fallimenti di aziende come piovesse, disoccupazioni record, con i coglioni mediatici che in prima serata si chiederanno… “perché questa crisi non passa?”
Ecco cosa sta per accadere: il 70% del debito pubblico italiano di più di 2 mila miliardi di euro sarà trasferito a un fondo europeo comune, chiamato Redemption Fund (di seguitoRF), dove saranno convogliate anche tutte le eccedenze di debito pubblico degli altri Stati dell’Eurozona. Cioè: siccome il Trattato di Maastricht stabilisce che il debito pubblico degli Stati non deve essere superiore al 60% del PIL, tutto ciò che eccede questo limite nei debiti pubblici dei 17 Paesi dell’euro sarà trasferito in questo Redemption Fund. Ok? Saranno quindi cifre immense di trilioni e trilioni di euro, che diverranno a quel punto di proprietà del RF.
Stop un attimo: l’idea di questo RF è tedesca, e precisamente del Consiglio Tedesco di Esperti Economici, e già qui la cosa puzza. Infatti vedremo sotto dove sta il marcio. Il documento che ne parla è della Commissione Europea *.
Torniamo a questo RF. Dunque gli Stati dell’euro trasferiranno tutte le eccedenze di debito pubblico sopra al limite del 60% sul PIL al RF, ma saranno comunque tenuti a onorare quella parte del debito trasferita (cioè a ripagare interessi e scadenze). Ma il RF farà una cosa nuova che dovrebbe aiutare tutti gli Stati, e soprattutto quelli più indebitati come Italia, Grecia, Portogallo. Il RF venderà dei suoi titoli agli investitori per racimolare soldi, e con quei soldi i governi dell’Eurozona potranno
a) finanziarsi
b) onorare il proprio debito pubblico che fu trasferito nel RF
Il vantaggio è che siccome i titoli del RF saranno garantiti da tutti i 17 Paesi euro, essi saranno, agli occhi dei compratori, super sicuri, quindi gli interessi che il RF pagherà su di essi saranno molto bassi. Certamente più bassi degli interessi che Italia, Spagna, Grecia, Francia, Portogallo pagano oggi per finanziarsi coi propri titoli di Stato. E qui sta la parte vantaggiosa, cioè i 17 dell’euro si potranno finanziare e potranno finanziare i ri-pagamenti sul loro debito pubblico a tassi molto più bassi grazie a questi titoli RF. Ok, quindi uno direbbe che sto meccanismo del RF è a fin di bene, no? NO!
No, perché il documento della Commissione Europea che descrive questo meccanismo specifica in toni PERENTORI che l’adesione al progetto RF da parte degli Stati comporta condizioni severissime, ultra severe, e indovinate un po’ di cosa si sta parlando? Ma sì! Ma CERTO! Dei soliti programmi di tagli feroci alla spesa pubblica, agli stipendi, alle pensioni, all’occupazione, a tutti i servizi pubblici. Ecco cosa bolle in pentola con sto RF! Altro che vantaggi per lei signor Ugo e signora Claudia. La Commissione infatti parla di “super potere d’intervento nei programmi di spesa dei governi”, come se non bastassero quelli che già ha grazie al Fiscal Compact. Ma c’è di peggio.
I tedeschi hanno proposto che al fine di garantire il ri-pagamento da parte degli Stati del loro debito
a) una quota del già micidiale prelievo fiscale di oggi sia trattenuta, oppure che si introducano nuove tasse, specialmente aumenti IVA, quindi… ancor più tasse.
b) gli Stati partecipanti promettano in pegno, attenzione!, le loro riserve di moneta straniera e le loro riserve d’oro come garanzia sui ri-pagamenti, appunto.
 
Vi rendete conto? La partecipazione in questo programma Redemption Fund comporta una nuova ventata killer di Austerità e addirittura la perdita totale di sovranità degli Stati persino sulle loro riserve monetarie e d’oro.
Come ogni altro progetto di stampo sociopatico e di stampo Economicidio (cioè killer delle garanzie sociali di noi cittadini e della nostra economia per viviere) della Commissione Europea, anche questo diventerà realtà. Non si dica che non vi avevo avvisati.

* Il doc della Commissione è questo http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2012:0777:FIN:EN:PDF

** Un grazie al Corporate Europe Observatory

New Zealand volcano lets off steam

August 20, 2013 – NEW ZEALAND -


A volcano off New Zealand sent a plume of steam two kilometers (1.24 miles) into the air Tuesday, although volcanologists described the eruption as small and said it was over in minutes. The GeoNet monitoring service said White Island, an uninhabited landmark off the North Island’s Bay of Plenty, erupted at 10:23am (2223 Monday GMT). “The eruption appears to have continued for about 10 minutes and mainly produced steam,” it said, issuing an aviation warning for the area around the island but reporting no damage. The volcanic activity is not believed to be related to a 6.5-magnitude earthquake which rocked Wellington Friday on the other side of the North Island. New Zealand has a number of active volcanoes. Mount Tongariro, in the middle of the North Island, rumbled to life on two occasions last year after lying dormant for more than a century, spewing out clouds of ash that disrupted air traffic. An eruption at Mount Ruapehu in 1953 caused New Zealand’s worst rail disaster when it trigged a massive mudslide that washed away a bridge, causing a passenger train to plunge into the Whangaehu River with the loss of 151 lives. –

ATTENZIONE si è Scatenata Una Crisi Finanziaria Globale, Crolla la Borsa Indonesiana, Tassi di Interesse dei Brics sulla Luna!!!!

Parafrasando un noto detto americano: La crisi capita!
E sta capitando con una forza sorprendente. Sono mesi che vi raccontiamo delle difficoltà di India, Cina e Brasile. Vi abbiamo anche raccontato dell’aumento verticale dei tassi di interesse sul debito sovrano dei paesi a più alto sviluppo e di alcuni fallimenti eccellenti fra le loro banche.
Ora dopo il 2008 possiamo di nuovo parlare di crisi finanziaria e con una probabilità vicina al 100% di una nuova ondata di recessioni globali trainate da quelle parti del mondo che più si sono sviluppate negli ultimi 10 anni.
Prima di strapparci i capelli meglio fare una precisazione: le recessioni sono connaturate allo sviluppo economico, sono eventi dolorosi ma necessari per pulire i sistemi economici dalla cattiva allocazione dei capitali. Il tentativo di usare gli stimoli monetari come misura anticiclica ha il solo risultato di comprare tempo e allontanare il momento della ripresa.
Ad ogni modo i BRICS e i paesi limitrofi sono ufficialmente in un profonda crisi finanziaria, crisi che è esplosa anche sulle rispettive valute e borse valori. I danni dell’aumento dei tassi e il conseguente blocco della trasmissione del credito trasformeranno in poche settimane i problemi della finanza in quelli dell’economia reale.
Oggi a fare la parte del leone ferito è l’Indonesia che ha visto un crollo contemporaneo sia della sua borsa che della sua valuta e un aumento ulteriore dei tassi di interesse: in altre parole una fuga di capitali.
Mentre scrivo la borsa di Jakarta perde il 5,36%, la Rupia Indonesiana il 3,20% (in pratica la borsa di Jakarta ha perso oltre il 9% in Euro o Dollari in sole 24 ore) e i tassi su un decennale indonesiano sono arrivati all’8,38%.
Ma attenzione, non è una crisi locale. Questa è una crisi finanziaria globale, la stessa cosa continua anche sui mercati Indiani, Sud Africani, Brasiliani e probabilmente Cinesi, anche se in Cina il fenomeno è meno visibile grazie al controllo di stato di tassi e valuta (ma non il controllo di alcuni grandi banche fallite, con i bancomat chiusi). 
A noi dovrebbe importare?
Beh fatevi due conti, la sola cosa che tiene a galla l’Italia e il suo export. Una “normale” recessione nei nostri mercati di sbocco ci sarebbe fatale.
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